Pnrr e ritardi
Pnrr e ritardi
Pnrr e ritardi
Una premessa apparentemente scontata, ma resa necessaria dal dibattito talvolta surreale degli ultimi mesi: il Pnrr non è un’invenzione italiana, un merito di questo o quel governo, tantomeno il risarcimento per inesistenti angherie subite dall’Unione europea o almeno per sue colpevoli indifferenze. È il figlio legittimo del Next Generation Eu, il più grande piano strategico di investimenti mai messo a punto dall’Ue attingendo a fondi comuni. Anche a quote di debito comune – una novità di portata storica – che i 27 sono riusciti a varare a valle della tragedia collettiva della pandemia.
Il Pnrr non esisterebbe senza Europa, per il banale motivo che senza i soldi dell’Europa non si potrebbe fare proprio nessun Pnrr. La gestione dei medesimi, invece, è come ovvio in capo a ciascun Paese che abbia deciso di far ricorso sia ai finanziamenti a fondo perduto che ai prestiti (ottenuti a condizioni impensabili sul mercato – oggi più che mai – a dispetto della rancorosa narrazione di chi cerca sempre e comunque di farci apparire ostaggio della matrigna Europa). Un’occasione unica e irripetibile che ci riguarda tutti, che influenza la vita reale del Paese cambiandola in meglio, permettendoci finalmente di aggredire alcuni dei ritardi storici accumulati nel tempo. Non è una medaglia per questo o quel partito, una determinata maggioranza o un leader piuttosto che un altro. È il motore cui abbiamo affidato la concreta possibilità di creare ricchezza e posti di lavoro. La gestione di queste risorse è dunque una responsabilità tutta italiana, rispetto alla quale soltanto un atteggiamento immaturo e irresponsabile può indurre a lamentarsi dei sacrosanti step di valutazione e controllo previsti dallo stesso Next Generation.
I soldi non sono nostri: è nostra l’occasione (come quella di tutti i Paesi dell’Unione agevolati da questo sforzo comune) e fare quelli che velatamente si offendono perché si ha l’ardire di chiederci il rendiconto delle spese e dei risultati ottenuti è ben oltre la soglia del ridicolo. Anche perché i ritardi li abbiamo accumulati noi, è l’Italia ad aver fornito oltre le scadenze previste le risposte che hanno portato al rinvio di alcuni mesi della terza rata, mentre ora ci si augura di poter ricevere la quarta entro il 2023. Siamo noi che abbiamo un po’ puerilmente giocato sui numeri dei posti letto negli studentati, ‘scambiando’ quelli da realizzare con i già esistenti al 31 dicembre 2022 (come richiesto dall’Ue) e offrendo il fianco ad alcuni dei rilievi della Commissione che hanno determinato il ritardo nel conferimento dei fondi. Siamo noi che abbiamo accettato una decurtazione di mezzo miliardo di euro nella terza rata, proprio in ragione del parziale ridisegno dei contorni del Pnrr. Nulla di drammatico, niente che metta a rischio l’impianto e la filosofia del piano, ma un monito a smetterla con il ping pong di polemiche che ci espone soltanto a figure barbine e finisce per offrire un’idea di perenne volubilità del Paese.
Visto che il termine è abbastanza di moda, la nazione è una e il destino è uno: ben tre diversi governi hanno lavorato alla stesura e all’avvio del Pnrr. Ora è bene che l’opposizione eviti di sfruttare i succitati ritardi per assestare alla maggioranza qualche colpo mediatico fine a sé stesso, ma sarebbe altrettanto saggio evitare trionfalismi fuori luogo negli ambienti del governo o vicini ai partiti dell’esecutivo. Siamo comunque in netto ritardo sulla tabella di marcia per i 18 miliardi e mezzo della terza rata, mentre per i 16,5 della quarta dovremo lavorare pancia a terra. Parlare meno, polemizzare zero.
di Fulvio GiulianiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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