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Restare al verde

La corsa al green è anche e soprattutto una questione di business. L’evoluzione passa proprio attraverso quel capitalismo tanto messo in croce che investe in ricerca e tecnologia per ovviare a un crescente bisogno di energia.
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Restare al verde

La corsa al green è anche e soprattutto una questione di business. L’evoluzione passa proprio attraverso quel capitalismo tanto messo in croce che investe in ricerca e tecnologia per ovviare a un crescente bisogno di energia.
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Restare al verde

La corsa al green è anche e soprattutto una questione di business. L’evoluzione passa proprio attraverso quel capitalismo tanto messo in croce che investe in ricerca e tecnologia per ovviare a un crescente bisogno di energia.
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La corsa al green è anche e soprattutto una questione di business. L’evoluzione passa proprio attraverso quel capitalismo tanto messo in croce che investe in ricerca e tecnologia per ovviare a un crescente bisogno di energia.
Il capo piange e si scusa, la piazza rumoreggia e attacca, ma chi s’arrabbia di brutto è il mondo dei quattrini. Faccia bene attenzione chi è sempre pronto a dare al capitalismo la colpa di ogni male, chi pensa che l’ambiente sia avvelenato dalla brama di denaro, chi immagina di fare dell’ambientalismo un’arma contro il bieco arricchirsi, chi crede che i giovani di buon cuore e sani polmoni debbano vedersela con i ciccioni in cilindro, ghette e sigarone: è il mondo della finanza, quello degli investimenti, il cuore del capitalismo a inveire contro il bicchiere mezzo vuoto di Glasgow, del Cop26. Se ne trova traccia evidente sulla prima pagina del “Financial Times”, che non è noto per essere un foglio avverso ai mercati o ai mercanti. La ragione è evidente e qui abbiamo provato a delinearla per tempo: la corsa al verde è anche una corsa ai verdoni. È una grande gara tecnologica, dai contorni ancora incerti, un grande mercato dal quale escludersi è altamente sconsigliato e al quale partecipare è altamente desiderato. La finanza è l’intelligenza dei capitali. Li sposta in ragione non del bene ma del profitto, fuggendo non il male morale, ma la perdita materiale. E la finanza punta al verde vedendone le potenzialità del business. Solo che non si investe volentieri in ricerca e tecnologia – dalla produzione agricola alle diverse fonti di energia, dalla mobilità ai consumi delle famiglie, senza escluderne nulla che non produca CO2, perché sarebbe demente – se il quadro di riferimento cambia in continuazione. E la cosa singolare è che mentre i governi dicono: dobbiamo coinvolgere i capitali privati, quelli protestano: non illudetevi che si finanzi tutto noi, anche voi dovete fare la vostra parte. Le date fissate restano? In caso di risposta affermativa i capitali corrono, altrimenti scappano. L’opposto della stolta retorica pauperista. Ma anche l’opposto della retorica di molte piazze: non sono i ricchi a frenare, sono i poveri che non vogliono restare tali. Il che è legittimo. Chi vuole un mondo verde non se la deve prendere con chi consuma, ma aiutare chi non consuma abbastanza. Non se la deve prendere con l’energia che si produce, ma badare a un positivo crescente bisogno di energia, che dovrà essere prodotta usando tutte le altre fonti. Nucleare compreso (a quelli che dicono l’ovvio, ovvero che ci vogliono 10 anni, suggeriamo di controllare la distanza che ci separa dal 2050). Gli investimenti si fanno oggi, il futuro si prepara oggi. Per questo i capitali fremono. Il bicchiere mezzo vuoto è anche mezzo pieno. I princìpi ci sono. Quelli che ci tengono all’ambiente stiano bene attenti a non diventare strumento di quanti si sono ambientati nel passato e non lo mollano, favorendo la devastazione della miseria. di Davide Giacalone

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