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Rimediare l’inflazione galoppante

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L’inflazione è alle stelle, attualmente superiore al 6,5%. Il ministro del Lavoro Andrea Orlando propone di introdurre anche in Italia il salario minimo, ma Confindustria lo ritiene dannoso.

Rimediare l’inflazione galoppante

L’inflazione è alle stelle, attualmente superiore al 6,5%. Il ministro del Lavoro Andrea Orlando propone di introdurre anche in Italia il salario minimo, ma Confindustria lo ritiene dannoso.
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Rimediare l’inflazione galoppante

L’inflazione è alle stelle, attualmente superiore al 6,5%. Il ministro del Lavoro Andrea Orlando propone di introdurre anche in Italia il salario minimo, ma Confindustria lo ritiene dannoso.
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L’inflazione, attualmente superiore al 6,5%, infiamma il dibattito tra governo, Confindustria e sindacati. Tutti d’accordo sulla necessità di mettere più soldi in tasca ai lavoratori, meno sul come farlo. Forte del fatto che solo sei Paesi in Europa – Italia, Austria, Finlandia, Cipro, Danimarca e Svezia – non hanno ancora adottato il salario minimo, il ministro del Lavoro Andrea Orlando propone di introdurlo in Italia e di adeguare i contratti, sulla base di un accordo con i sindacati in cambio di aiuti alle imprese.  Confindustria ritiene tale proposta dannosa (le imprese sono in difficoltà per gli aumenti delle materie prime) e contropropone di finanziare l’aumento del netto in busta con il taglio del cuneo fiscale e contributivo. Chiede 16 miliardi, da corrispondere per due terzi ai lavoratori e per un terzo alle imprese, risorse che andrebbero trovate attraverso riduzioni della spesa pubblica. I sindacati puntano invece su nuovo deficit, ma si sa che l’Italia è già stra-indebitata e non ci sono spazi di manovra. Fatto sta che l’impennata dei prezzi – dovuta soprattutto agli aumenti dei beni di prima necessità e della bolletta energetica – colpisce le fasce più deboli (oltre il 10% degli italiani) e una soluzione andrà trovata, anche perché l’Italia è l’unico Paese europeo in cui i salari sono praticamente fermi da più di venti anni. Quindi? Sussidi pubblici alle imprese in cambio di rinnovi contrattuali, aumento del deficit o taglio del cuneo e della spesa pubblica? Se si volesse ottenere il multi-obiettivo di difendere il potere d’acquisto dei cittadini aumentando al contempo i salari e la produttività, sostenendo la domanda interna senza fare ulteriore deficit e preservando la competitività delle imprese oltre che i posti di lavoro, la strada potrebbe essere quella del taglio del cuneo fiscale, unitamente a extra incrementi salariali legati ai risultati. L’automatismo aumento prezzi uguale aumento salari innesca una spirale inflattiva, un circolo vizioso molto negativo, già visto in passato. Non dimentichiamoci, inoltre, che non esistono solo i contratti oggetto di negoziazione con Confindustria ma anche i circa 3,2 milioni di dipendenti pubblici, il cui rinnovo contrattuale costerà diversi miliardi. Non sappiamo ancora se l’attuale inflazione sia un fatto congiunturale o strutturale, ma possiamo concordare che aumenti dei salari abbinati all’incremento della produttività significano un mercato del lavoro sano. In parallelo, il taglio del cuneo fiscale fornirebbe sostegno alla domanda, lotta alla povertà e risorse per la competitività delle imprese, cui gli incentivi a pioggia servono poco. Sono gli ultimi mesi del governo Draghi – disgiunto da interessi elettorali – e i partiti farebbero bene ad approfittarne per trovare una ventina di miliardi tra i circa mille di spesa pubblica, nelle cui pieghe vi sarebbero secondo alcune stime non meno di duecento miliardi di sprechi, perché in futuro le spending review costituiranno un costo in termini di consenso che la politica non vorrà sostenere. di Francesco Orlando

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