Sollevarsi
I dati sull’occupazione italiana forniti dall’Istat sono chiari. Dovremmo sforzarci di osservarli per quelli che sono ed evitare polemiche sterili
| Economia
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I dati sull’occupazione italiana forniti dall’Istat sono chiari. Dovremmo sforzarci di osservarli per quelli che sono ed evitare polemiche sterili
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I dati sull’occupazione italiana forniti dall’Istat sono chiari. Dovremmo sforzarci di osservarli per quelli che sono ed evitare polemiche sterili
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I dati sull’occupazione italiana forniti dall’Istat sono chiari. Dovremmo sforzarci di osservarli per quelli che sono ed evitare polemiche sterili
Dovremmo sforzarci di valutare i dati dell’occupazione e della crescita economica per quelli che sono e non per come utilizzarli quali argomenti polemici. Gli ultimi numeri prodotti dall’Istat e le oramai consolidate previsioni contengono indicazioni che sarebbe colpevole ignorare. Può ben darsi che non cambino molto nell’apparenza del racconto pubblico, oramai inesorabilmente piegato e piagato dalle convenienze di parte, ma modificano la sostanza e offrono anche interessanti temi di convergenza.
In un anno, dall’ottobre 2023 all’ottobre scorso, gli occupati sono cresciuti di 458mila unità. Di cui 455mila con contratti a tempo indeterminato. Grazie a questo incremento la percentuale degli occupati, sul totale della popolazione occupabile, è salita al 61,8%. Che per la realtà italiana è un record. Si deve aggiungere che è cresciuta anche la disoccupazione (arrivando al 7,8%) ma è un dato positivo, perché se a fronte di una crescita dell’occupazione crescono anche i disoccupati è segno che più numerosi sono quelli che hanno cominciato a cercare lavoro.
Sottolineare questi dati non significa abbandonarsi a sperticate lodi per il governo di destra, anche perché le assunzioni le fa il sistema produttivo, non il governo. E se è sicuramente vero che le politiche governative influenzano il mercato, nel bene e nel male, è anche vero che quello del lavoro risponde sempre in ritardo, quindi quel risultato di ottobre non si riferisce a cosa si è fatto a settembre.
Ma c’è di più: non soltanto quel 61,8% resta la più bassa partecipazione al lavoro in tutta l’Ue, ma noi di occupati potremmo averne molti, ma molti di più se solo le aziende trovassero quel che cercano. Ci sono mansioni per cui la possibilità di trovare il collaboratore che serve si riducono fra il 23 e il 35%, vale a dire che nel 70% dei casi non trovi nessuno, rinunci ad assumere e quindi a crescere. Sottolineare questi dati non significa dare addosso al governo, posto che anche questi hanno un’origine lontana nel tempo.
Adesso guardiamo le previsioni economiche, dopo avere fin troppo spesso avvertito: la riduzione millimetrica del peso del debito pubblico sul Pil, nel 2024, sarebbe assicurata, secondo i conti del governo, da una crescita all’1,2%. L’ultimo dato Ocse prevede per noi una crescita dello 0,7%. Più passa il tempo e più si perde slancio. Intanto l’inflazione diminuisce, il rialzo dei tassi ha funzionato e la recessione non è arrivata.
E allora: quel che ci manca è crescere quanto potremmo. È inutile e ottuso fare i tifosi di destra usando i primi numeri e fare quelli di sinistra usando i secondi: la sostanza è che non cresceremo mai quanto è necessario se poco meno del 40% della popolazione attiva continuerà a essere fuori dalla produzione di ricchezza (almeno quella lecita, perché una parte è già occupata in nero ed evasione fiscale e contributiva). Né cresceremo se chi cerca lavoratori non ne trova con le qualifiche di cui ha bisogno. Inoltre si sta lì, con il bilancino della retorica, a valutare l’arrivo delle rate Pnrr, ma sembra non ci si accorga che non sono in ritardo i soldi, ma le riforme. Ed essere lenti e reticenti in quel che non costa niente è grave.
Può darsi che sia un illuso, ma non conosco alfieri del sottosviluppo e della disoccupazione. Il guaio è la continua polemica vociante e sfinente, per cui ogni cambiamento dev’essere avversato da chi sta all’opposizione e presentato come coraggiosa rivoluzione da chi sta al governo. Tanto più che nel più dei casi sono cosette e a sostenerle era prima chi ora s’oppone. E viceversa. Nessuno è contrario a formare i giovani lavoratori: si discuta come. Nessuno è contrario all’aumento degli occupati, ma richiede più elasticità e meno cuneo fiscale: si discuta l’equilibrio fra queste cose.
Il Parlamento dovrebbe servire a parlarne. Nel merito. E se è vero che le sedute sono pubbliche, forse è il caso di staccare le telecamere per non farle divenire spettacolari palestre per acrobati della chiacchiera da bar.
di Davide Giacalone
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