Stime UE: l’Italia crescerà più del previsto nel 2023
Nel 2023 l’Italia crescerà più del previsto: a dirlo è la Commissione europea. Siamo stanchi dell’asfissiante narrazione catastrofista, di moda ormai da tempo nel nostro Paese
| Economia
Stime UE: l’Italia crescerà più del previsto nel 2023
Nel 2023 l’Italia crescerà più del previsto: a dirlo è la Commissione europea. Siamo stanchi dell’asfissiante narrazione catastrofista, di moda ormai da tempo nel nostro Paese
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Stime UE: l’Italia crescerà più del previsto nel 2023
Nel 2023 l’Italia crescerà più del previsto: a dirlo è la Commissione europea. Siamo stanchi dell’asfissiante narrazione catastrofista, di moda ormai da tempo nel nostro Paese
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Nel 2023 l’Italia crescerà più del previsto: a dirlo è la Commissione europea. Siamo stanchi dell’asfissiante narrazione catastrofista, di moda ormai da tempo nel nostro Paese
Nel 2023 l’Italia crescerà più del previsto: a dirlo è la Commissione europea, vedendo più rosa dello stesso governo Meloni. Il prodotto interno lordo farà segnare +1,2% e, come avrete sentito o letto nelle ultime 36 ore, «facendo meglio della Germania», stimata appena allo 0,2% di crescita. Citiamo la prima economia dell’Unione europea per l’evidentissimo valore del parallelo con la più importante manifattura dei 27 Paesi membri e un intero sistema economico di riferimento.
Chi ci legge sa quanto crediamo nella forza e nella capacità del nostro sistema produttivo, nell’inesauribile capacità di adattamento delle nostre imprese alle mutate esigenze del mercato. Per farla breve, nella forza dell’Italia nel panorama economico mondiale. Così come non ci siamo mai stancati di sottolineare l’inutilità e i danni dell’asfissiante narrazione catastrofista, di moda ormai da tempo nel nostro Paese. Siamo i più felici, pertanto, nel poter sottolineare la bella performance del Pil e anche la piccola-grande soddisfazione di aver messo il muso davanti alla Germania (e alla Francia, che farà +0,7%). Eppure, nel leggere i peana sugli stessi giornali che per mesi hanno accompagnato e sostenuto con entusiasmo il racconto della crisi e della recessione, ci scappa da ridere: perché dopo lo shock da Covid la recessione non c’è stata. Mai.
Quando una certa politica – appoggiata da un bel pezzo dell’informazione – urlava al disastro prossimo venturo, l’Italia stava facendo segnare una crescita di quasi il 4%. Si raccontavano delle gran balle, pari soltanto all’entusiasmo con cui si sottolineava cinicamente una crisi non in arrivo ma addirittura già in atto. Fantasie interessate. Qui non si tratta di esclamare «Ve l’avevamo detto» o «Avevamo ragione noi», non si vince nulla a tifare per il proprio Paese. Anzi, è palesemente più produttivo in termini mediatici e politici giocare sulla paura che sull’entusiasmo. Solo che siamo affezionati alla realtà, che in questo caso è la cronaca di una forza e di una tradizione.
Proprio per tutto ciò, non conviene ora scivolare in forme di velato entusiasmo che finirebbero per essere fuorvianti. Cresciamo più della Germania, è vero, ma nel 2023. Se allunghiamo lo sguardo appena al 2024, le cose cambiano: la Germania torna a crescere sensibilmente più di noi, balzando a +1,4% mentre noi ci plafoniamo a +1,1%, ultimi dell’intera Unione insieme alla Svezia. A medio termine la differenza si può spiegare intuitivamente con la valutazione degli effetti degli investimenti che oggi Berlino sta programmando per la propria economia. Considerati dalla Commissione più efficaci di quelli programmati da Roma, almeno per il momento. Nessun dramma, piuttosto l’occasione e il tempo per apportare dei correttivi. Del resto, soltanto pochi mesi fa le previsioni per l’Italia nel 2023 erano decisamente grigie.
In generale, valutare l’andamento economico di un Paese moderno resta impresa estremamente complessa. Nelle ultime ore, per esempio, si è registrato un forte allarme legato al commercio, seguito ai dati diffusi da Confcommercio sulle «52mila saracinesche» che si sono abbassate per sempre dal 2019 a oggi. Vi ricordate la narrazione della paura, l’effetto ultracollaudato delle notizie negative? Benissimo, nelle pagine interne de La Ragione troverete l’analisi della Fondazione Hume sui fallimenti in Italia. Nel totale quelle appartenenti al commercio sono effettivamente le più numerose, il 25,3%. Ma attenzione: il 25,9% delle imprese nate dalla pandemia a oggi sono proprio del commercio. Il saldo è nonostante tutto positivo e andrebbe quantomeno sottolineato, considerato il periodo storico che abbiamo vissuto. Invece niente. Ci assale il dubbio che si ‘scelgano’ gli aspetti negativi, pur di uniformarsi a una certa narrazione. Chi ieri insisteva un giorno sì e l’altro pure sulla crisi oggi è stato semplicemente sostituito da chi governava allora. È un eterno scambio delle parti, in una recita a soggetto indifferente alla realtà dei lavoratori e delle imprese che questo benedetto Paese lo mandano avanti sul serio.
di Fulvio Giuliani
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