Tutelare chi paga le tasse
l livello di tasse in Italia è infatti elevatissimo, con un’incidenza di circa il 42,6% del Pil, comportando pesanti conseguenze sulla competitività e sulla crescita

Tutelare chi paga le tasse
l livello di tasse in Italia è infatti elevatissimo, con un’incidenza di circa il 42,6% del Pil, comportando pesanti conseguenze sulla competitività e sulla crescita
Tutelare chi paga le tasse
l livello di tasse in Italia è infatti elevatissimo, con un’incidenza di circa il 42,6% del Pil, comportando pesanti conseguenze sulla competitività e sulla crescita
Il nostro Paese ha purtroppo numerosi record negativi in fatto di Pubblica amministrazione e finanza pubblica. E gran parte del poco onorevole medagliere mondiale dipende da una specialità olimpica nostrana: l’amaramente noto sistema fiscale. Il livello di tassazione in Italia è infatti elevatissimo, con un’incidenza di circa il 42,6% del Pil, comportando pesanti conseguenze sulla competitività e sulla crescita. Il pagamento delle imposte comporta inoltre tempi lunghi e costi particolarmente alti a causa delle complicate (a volte astruse) procedure burocratiche, spesso ostili e pletoriche.
Una pressione fiscale alta e distorsiva, un’evasione patologicamente diffusa, servizi pubblici complessivamente modesti (e, ove a volte di eccellenza, più per singoli operatori meritevoli che per il sistema burocratico), una bassa produttività media e un’innegabile fase di credit crunch sono gli elementi che caratterizzano il nostro attuale impianto economico.
La prima azione necessaria che qualsiasi governo dovrebbe implementare per invertire la rotta dovrebbe essere quella della riduzione dell’inefficiente sistema fiscale, diminuendo in primis le tasse sul lavoro e sulle imprese. A fronte di un livello di spesa pubblica che raggiunge incidenze record sul Pil e di un debito pubblico accumulato che ha sfondato il tetto dei 3mila miliardi, i cittadini ottengono servizi pubblici mediamente modesti e (a volte) insoddisfacenti.
Per fare un confronto metaforico, paghiamo tasse come nei Paesi scandinavi per ottenere servizi come nei Paesi del Terzo mondo. Prosciugando le risorse finanziarie disponibili, il fisco è come un gigantesco Crono che divora i suoi figli, tanto che occorrerebbe un patto Stato-cittadini per ridurre la spesa pubblica complessiva (almeno di 3-4 punti percentuali sul Pil) intervenendo selettivamente sugli sprechi, così da riallocarla da un lato sui capitoli di maggiore necessità (come sanità e istruzione) e dall’altro destinando tali risorse alla riduzione della pressione tributaria.
Al netto dell’annoso problema dell’evasione (che tuttora c’è, ma per contrastarla seriamente occorrerebbe prima tutelare i contribuenti onesti istituendo un’Authority fiscale terza di garanzia e non scaricare su chi già paga le imposte il maggior aggravio di onere fiscale, come certe proposte demagogiche tendono a fare), l’oppressione fiscale si concentra soprattutto sul ceto medio (dipendente, pensionato, professionista o imprenditore che sia). Su questa fascia occorre intervenire anzitutto ripristinando un minimo di equità orizzontale, oggi di tutta evidenza compromessa da una tassazione dei redditi folle e da innumerevoli regimi di eccezione stratificatisi nel tempo, con i quali il sistema fiscale italiano attua una sorta di ‘discriminazione qualitativa’ alla rovescia, penalizzando il lavoro in tutte le sue componenti.
Teniamo altresì presente le mutazioni economiche in atto, date dalle transizioni ambientali e digitali e, soprattutto, dal cosiddetto longevity risk. Stante l’attuale curva demografica e l’allungamento delle aspettative di vita, quest’ultimo comporta in effetti una progressiva mutazione della propensione ai consumi e al risparmio/investimenti (finanziari e immobiliari), acuendo il fabbisogno prospettico di spesa pubblica per welfare (assistenza sociale-sanitaria e spesa pensionistica) e mettendoci di fronte alla necessità di rivalutare quale possa essere il mix più equilibrato fra tassazione del lavoro (in calo, in chiave prospettica), eventuale forme di tassazione della tecnologia (in evoluzione) e tassazione delle rendite (da risparmio e da investimenti) e/o dei patrimoni (anche in sede successoria, magari introducendo un concordato successorio preventivo che preservi da aumenti futuri di imposte).
La risposta non può dunque essere banalmente “più progressività”, che colpirebbe in modo selettivo soprattutto soggetti già tartassati, ma più equità sostanziale, meno pressione fiscale complessiva, un’efficace spending review qualitativa e una maggiore certezza del diritto (anche) tributario.
di Antoluca Cuoco e Francesco Maria Renne
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