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Tim-Ballo

Ora siamo al Tim Ballo delle telecomunicazioni, con l’orchestra sfatta, i danzanti bolsi e il pubblico da tempo tornato a casa
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Ora siamo al Tim Ballo delle telecomunicazioni, con l’orchestra sfatta, i danzanti bolsi e il pubblico da tempo tornato a casa
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Ora siamo al Tim Ballo delle telecomunicazioni, con l’orchestra sfatta, i danzanti bolsi e il pubblico da tempo tornato a casa
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Ora siamo al Tim Ballo delle telecomunicazioni, con l’orchestra sfatta, i danzanti bolsi e il pubblico da tempo tornato a casa

Una multinazionale profittevole e pochissimo indebitata fu spolpata dalla Razza Corsara dei “capitani coraggiosi”, ove il coraggio lo ebbero governanti compiaciuti e autorità bendate, che li lasciarono fare. Dopo quel luculliano banchetto, che fece fuori la ricca dispensa pagata dagli italiani (contribuenti e abbonati alla Sip), si passò al succedersi dei pasticci, fra sogni di grandezza, ricerca delle polpe rimaste, tentativi di tenere in equilibrio i conti. Ora siamo al TimBallo delle telecomunicazioni, con l’orchestra sfatta, i danzanti bolsi e il pubblico da tempo tornato a casa.

Lo spartito è lungo, riprendiamo dalle ultime note e facciamola facile. Tim s’è divisa in due parti: la rete e i servizi. Quindi ha concesso al fondo statunitense Kkr – che già compartecipava della rete – il diritto di negoziare in esclusiva l’acquisto totale della rete stessa. Unico caso in Unione europea. Kkr a sua volta ha firmato un’intesa preliminare (MoU) con il Ministero del Tesoro, cedendo a quest’ultimo il diritto di acquisire fino al 20% della futura società (Netco).

Ci sono tre problemi. 1. Il Ministero, quindi lo Stato, è pronto a spendere 2,6 miliardi di euro, cui si dovrebbe aggiungere l’eventuale ingresso di F2i, per un ulteriore 10-15% (quindi almeno 1,3 miliardi). Ma l’intera società, con dentro tutto – grazie ai rialzi azionari indotti dagli annunci – capitalizzava in Borsa lunedì scorso 6,53 miliardi, mentre Kkr ne offre 21 solo per la rete, ciò pesando i debiti, che portano al secondo punto. 2. Tim è attualmente controllata dai francesi di Vivendi, con il 23,75%, i quali hanno continuato a perdere quattrini e con questa vendita – fin qui rifiutata – puntano a riprenderne una parte e a cedere il maggiore debito possibile. 3. Lo Stato in questa partita è: a. regolatore; b. controllore (con l’Autorità delle Comunicazioni); c. concorrente (avendo il 60% di OpenFiber, l’altro soggetto che offre la rete, operazione fallimentare avviata dal governo Renzi); d. venditore (visto che Cassa depositi e prestiti ha il 9,81% di Tim); e. acquirente.

Non è finita. Lo scopo dell’operazione è la fusione con OpenFiber, il che pone un problema europeo di antitrust. Nel frattempo – a tacere di professionisti e singoli cittadini – dei 141 poli industriali italiani 33 sono senza copertura, un terzo è sotto l’1% della banda larga. Dunque la rete di telecomunicazioni dovrebbe essere oggetto di forti investimenti (almeno 10 miliardi di euro), come previsto anche dal Pnrr, e non una cassa automatica dove sedersi, mettere il cappello e raccogliere quattrini. Perché allora sgomitare per averla? Un privato conta di rifarsi vendendo capacità trasmissiva agli operatori, tenendo in equilibrio investimenti e ritorni, il che farà aumentare i costi per noi utenti; ma lo Stato? Strano nazionalismo.

L’impressione è che si stia giocando l’eterno ritorno della partita colpevolmente svenduta nel secolo scorso, scambiando il sedersi in un Consiglio d’amministrazione con il mettersi a capo della rete che fu e che non c’è più, oramai gravemente smagliata. Quel mondo è cambiato: una volta i soldi e il potere stavano nella rete e nei servizi (difatti Telecom aveva soldi e non debiti), ora i soldi li fanno quelli che la rete la usano senza pagarla (piattaforme e-commerce; film; affitto alberghi e turismo; etc.). Se lo Stato imitasse chi fa quattrini (per risparmiarli) piazzando in rete i propri servizi, dalla sanità all’anagrafe, poi potrebbe usare la forza d’essere regolatore e controllore per inseguire chi gestisce la rete e costringerlo a investire per renderla più veloce ed efficiente, minacciando ritorsioni secondo quanto stabiliscono le regole. Se diventa proprietario non solo non potrà inseguire sé medesimo, ma neanche solleciterà le debolezze della rete mettendoci suoi nuovi servizi.

A parte le sovrapposizioni elencate, ci stiamo ricomprando le bighe scassate anziché aumentare le licenze taxi fino a soddisfacimento del mercato. E c’è, in questo, una diabolica coerenza.

di Davide Giacalone

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