Torino senza futuro industriale?
Torino senza futuro industriale? Iveco ceduta agli indiani di Tata. Persino Garuzzo, ex n.1 di Iveco, ha una visione sconfortata del futuro del gruppo e del capoluogo piemontese

Torino senza futuro industriale?
Torino senza futuro industriale? Iveco ceduta agli indiani di Tata. Persino Garuzzo, ex n.1 di Iveco, ha una visione sconfortata del futuro del gruppo e del capoluogo piemontese
Torino senza futuro industriale?
Torino senza futuro industriale? Iveco ceduta agli indiani di Tata. Persino Garuzzo, ex n.1 di Iveco, ha una visione sconfortata del futuro del gruppo e del capoluogo piemontese
Due giorni fa ho scritto di getto un commento sulla cessione di Iveco agli indiani di Tata.
Ho raccolto una marea di commenti in linea con il mio dispiacere per la fine di un’altra grande storia industriale italiana. Un’impresa lasciata scivolar via e smembrata per scarso coraggio, pochezza di visione e meri calcoli economici.
Nel breve.
Tante critiche – una valanga – di cui buona parte estremamente severe nei confronti dell’attuale top management.
Anche qualche critica al sottoscritto, per la voluta semplificazione della catena societaria (anche il Corriere della Sera parla di “decisione di Exor“… perché si bada al sodo), altre in cui si esprime il rammarico per quello che sarebbe diventato uno sport nazionale: criticare sempre e comunque il gruppo che fu Fiat.
Sta di fatto che ieri mi sono imbattuto nell’intervista rilasciata dall’ex numero uno di Iveco negli anni ‘90, Giorgio Garuzzo, quando l’azienda sembrava morta e fu rimessa in strada – è il caso di dire… – con risultati eccezionali.
Anche un uomo come Garuzzo, che ha vissuto la galassia-Agnelli da dentro e con ruoli di altissima responsabilità, ha una visione sconfortata e sconfortante del futuro del gruppo e della stessa città di Torino.
Quest’ultima lasciata in balia di ciò che deciderà il gruppo indiano per quanto concerne uno dei pochi poli industriali superstiti.
Ricordando le (scarne) critiche in quella marea di applausi amari ricevuti per le mie parole sulla cessione di Iveco, torno sul punto: nessuno dubita della voglia di lavorare e credere in se stessi di quadri, dirigenti, operai, impiegati, colletti bianchi e blu dei tempi che furono.
Ma se chi guida non sa dove andare e mira a raccogliere quanti più denari oggi senza disegnare l’azienda di domani, dovremmo far finta di non vedere?
Non dovremmo commentare la fine di Torino come grande città industriale?
Proprio perché si vuol bene a chi lavora non riusciamo ad adattarci a questo lento spegnersi. Come una candela a fine nottata.
Di Fulvio Giuliani
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