La giornata dell’orgoglio, l’ha definita il Presidente del Consiglio Mario draghi, in occasione del via libera ufficiale della Commissione Europea al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, agganciato al Next Generation EU.
Di quale orgoglio ha parlato il Capo del governo? Quello di un Paese che scommette su se stesso con un entusiasmo che sembrava dimenticato. Lo fa grazie agli enormi fondi in arrivo da qui a poche settimane, per i prossimi quattro anni e mezzo. Un fiume di denaro mai visto e neppure immaginato, con il quale avremo il dovere di riscrivere il futuro di noi tutti, come comunità.
La stessa, questa la clamorosa lezione della giornata di ieri, che una manciata di mesi fa si era lasciata affascinare in misura tutt’altro che trascurabile da sirene russe o cinesi e da inquietanti promesse di autarchia da terzo millennio.
Non riusciamo a dimenticare chi vedeva in Mosca o nel regime cinese una specie di Nuova Frontiera o era pronto a mitizzare gente come Orban.
C’è voluta una tragedia collettiva, questo è fuori discussione, per spingere l’Europa ad assumersi responsabilità epocali, a superare di slancio diffidenze reciproche e paure. La costruzione dell’Unione è tutt’altro che un’opera perfetta e sarebbe da ingenui credere che il Next Generation sia guardato in 27 capitali con gli stessi occhi.
Per essere ancora più crudi, che l’Italia non resti un osservato speciale, per il suo stesso ruolo di maggiore beneficiario del piano, ma anche per quel recente passato che abbiamo appena ricordato.
Mario Draghi lo sa molto bene e, davanti alla presidente Von Der Leyen, ha voluto sottolineare la pesante responsabilità avvertita “nei confronti del resto dei Paesi europei e nei confronti dei cittadini europei che pagano le tasse”. Aggiungendo che noi italiani “abbiamo quindi questa responsabilità non solo nei confronti di noi stessi, ma anche verso i cittadini dell’Europa”. Più chiaro di così…
Perché ieri, a Cinecittà, si faceva festa sulle note del maestro Ennio Morricone, ma da oggi si deve fare maledettamente sul serio.
di Fulvio Giuliani
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