L’Est è un problema
La questione ungherese ha evidenziato le importanti differenze ancora esistenti con i Paesi dell’Est. Se intendono restare in Europa, si adeguino.
L’Est è un problema
La questione ungherese ha evidenziato le importanti differenze ancora esistenti con i Paesi dell’Est. Se intendono restare in Europa, si adeguino.
L’Est è un problema
La questione ungherese ha evidenziato le importanti differenze ancora esistenti con i Paesi dell’Est. Se intendono restare in Europa, si adeguino.
La questione ungherese ha evidenziato le importanti differenze ancora esistenti con i Paesi dell’Est. Se intendono restare in Europa, si adeguino.
Sarebbe riduttivo illustrare il complesso Consiglio Europeo di ieri solo come il giorno dell’indignazione per la cosiddetta legge contro l’omosessualità, voluta dal premier ungherese Orban. Il provvedimento che vieta di parlare del tema ai minori di 18 anni è all’evidenza una bestialità.
Siamo ben oltre, però, se il Capo del governo olandese, Rutte, arrivando a Bruxelles ha dichiarato che per l’Ungheria “non c’è più posto nell’Unione Europea”. Rutte – sì, proprio lui il grande avversario dell’Italia, ricordate? – da buon olandese ha il pregio della spietata chiarezza: ha messo il dito nella vera piaga, che scavalca la stessa legge voluta da Orban, che rimbalza allegramente fra stadi e media del continente.
Ieri, 17 premier dell’Unione, fra cui Macron, Draghi e Merkel, hanno firmato una lettera, in cui stigmatizzano pesantemente l’approccio ungherese ai diritti individuali, soprattutto in materia sessuale. Non hanno firmato la lettera Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Romania, Bulgaria, Croazia e Lituania.
Un elenco tutto tranne che casuale, fatto di Paesi del vecchio blocco dell’Est, approdati molto di recente alla democrazia e spesso passati da un travolgente entusiasmo iniziale ad un cupo risentimento, per le delusioni dei duri anni della transizione.
La pandemia ha soffocato il problema, ma ora conviene dichiararlo apertamente e affrontarlo. Se c’è un reciproco disagio con i paesi del Gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia), alla testa di un più generale fronte dell’Est, è arrivato il momento di stressarlo a dovere.
Anche per stimolare i cittadini di quei Paesi a una presa di coscienza delle scelte fondamentali dei propri governi.
Consideriamo Brexit un errore storico clamoroso, ma alla volontà democraticamente espressa non si comanda, Varsavia o Budapest non possono pensare di stare nell’Ue facendo a pezzi principi e ideali considerati intangibili in Europa. Quelli ribaditi ieri dai 17. Possono lasciare l’Unione, se vogliono, ma che ne pensano i loro cittadini?
di Fulvio Giuliani
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