Al momento del ritrovamento il piccolo, sfigurato in volto e irriconoscibile, indossava un giubbotto salvagente di una marca sconosciuta al mercato norvegese. La polizia si è attivata partendo proprio da questo indizio, come racconta Camilla Tjelle Waage, a capo delle operazioni, che presto ha compreso “che non si trattava di un bambino del nostro Paese”.
Nel ricostruire la storia, sono emersi sempre più elementi.
Artin, questo il suo nome, aveva poco più di un anno quando è morto annegato. Era il 27 ottobre dell’anno scorso, quando la famiglia di Artin ha tentato la traversata verso la Gran Bretagna. L’imbarcazione è affondata e con lei Artin e tutti i membri della sua famiglia. Solo il suo corpo, diversamente da quelli dei suoi famigliari, non era ancora stato ritrovato. Fino ad ora, quando è emerso tra le coste del sud della Norvegia, presso la città di Karmoy.
La famiglia era originaria della città iraniana di Sardasht, vicina al confine iracheno e la BBC ha ripercorso con un articolo il suo tragitto dal Paese d’origine fino al ritrovamento del corpo del bambino.
Partiti il 7 agosto 2020 dal Kurdistan iraniano, hanno raggiunto prima la Turchia, per poi essere trasportati in Puglia da dei trafficanti di esseri umani. Artin e la sua famiglia hanno attraversato tutto il nostro Paese in direzione del nord della Francia, da dove si sono imbarcati verso il Regno Unito con l’obiettivo di raggiungere il campo di Dunkerque, prima del naufragio a cui nessun membro della famiglia è sopravvissuto.
Fonte BBC
Nello stesso articolo, l’emittente britannica ha reso pubblici una serie di messaggi della madre di Artin, la signora Mohammad Panahi, incluso uno in cui parlava del pericolo di attraversare la Manica in barca ma concludeva “non abbiamo scelta”.
“Se vogliamo andare con un camion, potremmo aver bisogno di più soldi che non abbiamo”, si legge in un secondo messaggio.
In un altro ancora, Mohammad ha detto: “Ho mille dolori nel cuore e ora che ho lasciato l’Iran vorrei dimenticare il mio passato”.
di Sara Tonini
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