Il “Whatever it takes” di Draghi compie 10 anni
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Esattamente 10 anni fa Draghi pronunciò lo storico impegno della Bce a difendere l’euro “Whatever it takes“. Allora non fu subito chiara la portata di quel discorso, oggi pochi ne conoscono i retroscena.

Il “Whatever it takes” di Draghi compie 10 anni
Esattamente 10 anni fa Draghi pronunciò lo storico impegno della Bce a difendere l’euro “Whatever it takes“. Allora non fu subito chiara la portata di quel discorso, oggi pochi ne conoscono i retroscena.
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Il “Whatever it takes” di Draghi compie 10 anni
Esattamente 10 anni fa Draghi pronunciò lo storico impegno della Bce a difendere l’euro “Whatever it takes“. Allora non fu subito chiara la portata di quel discorso, oggi pochi ne conoscono i retroscena.
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Se googli “Whatever it takes” e “Draghi”, in 43 secondi ottieni quasi un milione di risultati. Oggi è noto il valore di quelle tre semplici parole, tradotte dal Wordreference come «A ogni costo». Che per l’Europa hanno significato un euro salvato «costi quel che costi» perché la Bce avrebbe fatto «tutto ciò che è necessario» per evitare la disintegrazione della giovane moneta Ue.
26 luglio 2012. Non siamo a Francoforte, dove c’è la Bce di cui Draghi è presidente da meno di un anno, ma a Londra alla Global Investment Conference (Gic). L’intervento di Draghi capita in uno dei momenti peggiori per la Ue, nel mirino della speculazione, colpita dallo tsunami monetario di Atene e dagli spread impazziti. Nell’era pre-Covid, i convegni si seguivano in presenza, specie se qualche gola più o meno profonda aveva fatto filtrare: «Al tuo posto io il 26 mi farei accreditare alla Gic…».
Quando viene invitato a prendere la parola, Draghi si avvicina al podio con passo tranquillo. In piedi, con il suo aplomb sancito dagli occhialini tondi leggerissimi, determinato e assertivo, terrà il discorso che passerà alla storia. Ha un testo (che poi verrà fatto circolare) scritto di suo pugno dove il lessico è soppesato parola per parola in modo da trasmettere un concetto al quale sta lavorando da tempo, contro i ‘falchi’ tedeschi della Bce e ormai così interiorizzato che non ha bisogno di leggere. Scandisce le parole a memoria, con la consumata abilità del key note speaker, pause a effetto comprese. Sarà perché Draghi gioca “fuori casa”, sarà perché quei banchieri sono annoiati e un po’ distratti, ma i presenti non colgono la svolta storica della politica monetaria Ue. Al punto che i mercati ci mettono un po’ a reagire. E molto timidamente, dopo essere stati ‘imbeccati’ dalla Bce sulla “interpretazione autentica” di quel pensiero.
L’esternazione di Draghi arriva dopo una lunga fase prodromica. Già il 24 novembre 2011 Mario Monti, neo presidente del Consiglio, incontra a Strasburgo Angela Merkel e Nicolas Sarkozy: insieme decidono di «impegnarsi a rispettare l’indipendenza della Bce».
A spianare la strada di Draghi è stato però il Consiglio Ue del 28 giugno 2012. Alle sette di sera si stava chiudendo con un generico richiamo «al patto per la crescita» e in maniera affrettata perché c’era la semifinale degli Europei di calcio. Monti chiede la parola e annuncia di voler porre il veto se il comunicato finale non conterrà un pronunciamento con l’impegno a stabilizzare gli spread. Il nostro presidente del Consiglio è felpato: espone con cortese fermezza le tesi dell’Italia. La Merkel dapprima s’infuria, poi entrambi guardano la partita in tv. Forse non è merito dei due gol di Balotelli che in 16 minuti schiantano la Germania, ma nella notte l’intesa viene trovata. Con Roma che vince, oltre alla partita di calcio, anche quella politica. E con la Bce che potrà continuare a fare il suo lavoro.
Di Franco Vergnano
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