25 aprile ieri, oggi e domani
Celebrare il 25 aprile significa ricordare e commemorare, ma anche assumere impegni e responsabilità in relazione ai fatti del mondo
25 aprile ieri, oggi e domani
Celebrare il 25 aprile significa ricordare e commemorare, ma anche assumere impegni e responsabilità in relazione ai fatti del mondo
25 aprile ieri, oggi e domani
Celebrare il 25 aprile significa ricordare e commemorare, ma anche assumere impegni e responsabilità in relazione ai fatti del mondo
Celebrare il 25 aprile significa ricordare e commemorare, ma anche assumere impegni e responsabilità in relazione ai fatti del mondo
25 aprile 2024.
Forse deluderò qualcuno, perché non scriverò di risorgente fascismo, di rischio antidemocratico, di regimi. No, non mi iscriverò al partito di chi sfrutta la festa più importante della nostra comunità – insieme a quella della Repubblica del 2 giugno – per calarla sulla testa di un pezzo della medesima.
Il 25 aprile, secondo la mia trascurabile opinione, deve vivere su un doppio binario: da un lato la consapevolezza di ciò che fu. Dall’altro il riaffermarsi di valori fondanti nella nostra vita di tutti i giorni: democrazia, libertà, antifascismo e partecipazione. Da difendere nel presente, non riarruolandosi in una guerra civile conclusasi ottant’anni fa e con la quale non siamo riusciti a fare la pace. Il che non significa e significherà mai e in alcun modo equiparare chi scelse i nazifascisti a chi si batté per la libertà.
Far pace, come scrivevamo solo pochi giorni fa per la vicenda Scurati, significa innanzitutto conoscere i fatti e saperli ordinare per quello che furono, non per ciò che crediamo possa essere utile a sostenere oggi questa o quella parte. Celebrare il 25 aprile, dunque, significa ricordare e commemorare, ma anche assumere impegni e responsabilità in relazione ai fatti del mondo. La libertà la si difende in Ucraina, per la libertà e la democrazia muoiono ogni giorno gli ucraini.
25 aprile deve significare sforzarsi di trovare un ruolo politico per spingere (se necessario costringere) coloro con cui si può parlare a lavorare per un futuro del Medioriente. Non possiamo rassegnarci a una prospettiva di guerra perenne, intervallata da qualche parentesi di calma illusoria. Spetta all’Occidente questo ruolo. Sono gli Stati Uniti e l’Europa – pur con tutti i loro limiti – gli unici ad aver messo in moto una manovra diplomatica in grado di contenere la reazione di Israele dopo l’attacco iraniano che avrebbe potuto far esplodere l’intera regione.
Quelle stesse pressioni che non sono riuscite ad evitare la mattanza di Gaza, per l’ossessione che domina il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Eppure ad arrivare quasi a minacciarlo sono stati americani ed europei, mentre dittature, democrature e autocrazie giocano la loro cinica partita e sono interessate solo a prolungare le guerre per far male al vero nemico: l’Occidente. Ucraina e Israele sono target, perché espressioni del nostro mondo.
Eppure nei cortei di oggi per l’Ucraina ci sarà pochissimo spazio e Israele sarà innominabile, anzi descritto come “nazista”, colpevole di genocidio e qualsiasi altra bruttura ipotizzabile. Per molti di quelli che sfileranno oggi, l’Occidente è il nemico, mentre con i dittatori tutto sommato si può parlare e i problemi arrivano da leader democraticamente eletti. Questi ultimi potranno essere i peggiori su piazza, ma pur sempre preferibili ai pazzi sanguinari con cui abbiamo a che fare. Non per chi vive nel passato, nutrendosi di slogan che erano vecchi e superati ai tempi dei loro padri.
Di Fulvio Giuliani
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche