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Fra palco e realtà

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Mentre il partito che fu di maggioranza politica continua la sua inesorabile dissoluzione interna, Mario Draghi va in Algeria a firmare un contratto che costituisce un pilastro del nostro futuro.

Fra palco e realtà

Mentre il partito che fu di maggioranza politica continua la sua inesorabile dissoluzione interna, Mario Draghi va in Algeria a firmare un contratto che costituisce un pilastro del nostro futuro.
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Fra palco e realtà

Mentre il partito che fu di maggioranza politica continua la sua inesorabile dissoluzione interna, Mario Draghi va in Algeria a firmare un contratto che costituisce un pilastro del nostro futuro.
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Il distacco fra realtà e convulsioni della politica non poteva essere più clamoroso, plastico e straniante di quanto visto ieri. Da un lato, l’ennesima dissoluzione interna di quello che fu il partito di maggioranza relativa, il movimento che avrebbe dovuto cambiare la politica, il paese e gli italiani (tutte pretese già sentite e invariabilmente inquietanti), l’infaticabile lavorìo di mediatori, pontieri e figure che se la godono in questi passaggi agitati, disordinati e sostanzialmente inutili. Dall’altro, ciò che resta del governo – il presidente del Consiglio – che se ne va in Algeria a firmare un contratto di fornitura energetica che costituisce uno dei pilastri del futuro di questo Paese, almeno fino a quando non si potrà tornare ad avere relazioni civili e stabili con la Russia del dopo-Putin. L’accordo con il Paese nordafricano, scriviamolo subito prima che qualcuno ci salti alla gola, non è certo in grado di risolvere da solo gli enormi problemi di forniture energetiche all’Italia, in vista del prossimo inverno e del futuro a medio termine, ma senza di esso saremmo a zero. Come senza gli accordi con Egitto, Israele e Turchia, tutto in un quadro di razionalità e progettualità alternativa alla dipendenza da Mosca che ci pone in una posizione di assoluta preminenza, anche rispetto ai partner europei. Un’intesa che sancisce una visione, una capacità di reagire agli eventi, di organizzarsi di conseguenza e farsi protagonisti, che interesserà tutta Europa. Quanto più gas e materie prime arriveranno da sud, tanto più il nostro Paese assumerà un valore strategico a vantaggio e in seno all’Unione. Lapalissiano, ma forse troppo complicato per chi è tutto impegnato a seguire lo spettacolo di dubbio gusto che da una settimana ammorba Roma. Quanto a quest’ultimo, sancita una distanza fra realtà, futuro e piccinerie quotidiane che fa male, nessuno saprebbe dire oggi verso quale esito si stia marciando. Potrebbe accadere tutto e il contrario di tutto, fermo restando che Mario Draghi ignorerà quasi certamente i presunti leader e li lascerà cuocere nel loro brodo almeno fino a domani. A cominciare dal personaggio che, comunque vada, uscirà disintegrato da questa sceneggiata, Giuseppe Conte. Non ha più un partito e quel poco che gli resta non vede l’ora di sostituirlo con i degni compari Virginia Raggi – il peggior sindaco che la capitale ricordi – e il barricadero della domenica Dibba, a caccia di vendette da consumarsi rigorosamente fredde nei confronti dell’ex amico Di Maio e del mai amato “avvocato del popolo“. Capirete che questa roba, rispetto a ciò che abbiamo ricordato sul futuro dell’Italia vale zero. Anzi, meno di zero, per quanto lor signori si sentano al centro di un mondo che esiste solo nella loro testa. Di Fulvio Giuliani

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