Appan-Nato
Integrazione europea e Alleanza Atlantica sono il binario su cui corre la politica estera italiana, dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi. Ma qualcosa sembra essersi appan-Nato

Appan-Nato
Integrazione europea e Alleanza Atlantica sono il binario su cui corre la politica estera italiana, dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi. Ma qualcosa sembra essersi appan-Nato
Appan-Nato
Integrazione europea e Alleanza Atlantica sono il binario su cui corre la politica estera italiana, dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi. Ma qualcosa sembra essersi appan-Nato
Integrazione europea e Alleanza Atlantica sono il binario su cui corre la politica estera italiana, dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi. La stessa cosa vale per gli altri Paesi fondatori dell’Unione Europea. Nel tempo il treno ha vissuto tensioni considerevoli, fra i vari vagoni nazionali, ma non ha mai smesso d’essere il treno occidentale.
L’alleanza difensiva ha funzionato anche senza che esistesse una politica estera unica per tutti (il che dovrebbe dire qualche cosa a quelli che pensano che la difesa europea presupponga anche una sola e identica politica estera). È stato possibile perché era condiviso il presupposto. Il blocco occidentale aveva come antagonista il blocco sovietico e rispetto a quello si difendeva, chiarendo che se ci fosse stato un attacco armato a uno degli aderenti tutti gli altri sarebbero entrati in guerra. Ciò ha garantito una lunga pace, senza che fossero cancellati altri conflitti e diversi approcci alle relazioni internazionali. È il presupposto a essersi appan-nato.
Quando, nel febbraio del 2022, la Russia ha invaso l’Ucraina l’intera Alleanza Atlantica l’ha considerata una minaccia alla propria sicurezza. Ciò non ha comportato un diretto ingresso in guerra perché nessuno dei Paesi Nato era stato attaccato. La guerra lambiva i nostri confini e si è ritenuto opportuno difendersene al di là di quei confini, aiutando gli ucraini aggrediti. Già prima del reinsediamento di Trump alla Casa Bianca la sua parte politica aveva ostacolato il finanziamento degli aiuti americani, ma alla fine li aveva condivisi. Subito dopo le cose non sono andate affatto in questa direzione.
Trovo stucchevoli le analisi della politica americana fatte sulla base dei giudizi caratteriali o della stabilità umorale del presidente Trump. Lasciano il tempo che trovano. La svolta politica è netta e anche stabile. Pensa a un mondo retto da un’intesa con le altre grandi potenze (Cina e Russia), liquidando le sedi multilaterali e considerando l’Ue soltanto un fastidio. Si può condividere o meno – e non condivido – ma non si può ignorare.
Il che porta alle scelte da compiersi e al vertice Nato in corso. Fin quando la minaccia militare sovietica era considerata tale e condivisa dalle due sponde dell’Atlantico, si potevano poi gestire anche separatamente squilibri geopolitici in altre aree del mondo. E noi europei campare alle spalle della difesa americana, a sua volta non dimostrazione di bontà ma incarnazione di supremazia che si rifletteva anche negli affari. Se quel comune sentire s’appanna, la sola possibilità di non essere subalterni (anche negli affari) consiste nel dimostrarsi capaci di difesa coordinata ed efficace, quindi europea. E questa sì, accidenti, è questione di sovranità.
Il tema delle percentuali di spesa è un feticcio: dovremo spendere di più, ma che sia il 4% (ovvero più del doppio di quel che spendiamo noi italiani adesso) o il 5% cambia sulla carta. Nella realtà quel che è decisivo è se si è capaci di dare corpo a una produzione difensiva europea, il che comporta concentrazione e crescita dei giganti continentali nonché marginalizzazione e chiusura dei fornitori secondari e perdenti. Altrimenti, se non ne fossimo capaci e sperando che sia lunga la stagione della pace, sarebbero soldi buttati. Per non buttarli non serve discutere sulla loro quantità ma su come affermare quell’industria europea. Che è anche ricerca, innovazione, eccellenza culturale.
La difesa europea non è e non deve esser antagonista, ma capace di reggersi da sola e integrata in quella atlantica. Un Paese europeo che volesse starsene indietro o chiamarsene fuori si indebolirebbe economicamente e politicamente. Non va taciuto, ma chiarito ai cittadini. Ricordando anche che coalizioni contrapposte che tengono ciascuna nel proprio seno l’opposizione a queste scelte sono causa di debolezza nazionale.
Anche la vita (e quella politica) nel cortile può essere affascinante, ma scambiare il cortile per il mondo sarebbe un errore che si pagherebbe a lungo.
di Davide Giacalone
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche

Uscite

Renzi, da enfant prodige fiorentino a bugiardo matricolato della politica

Dall’euro alla politica comune: l’Italia davanti al bivio europeo
