Arturo Carlo Jemolo, esemplare raro d’italiano
Arturo Carlo Jemolo, esemplare raro d’italiano
Arturo Carlo Jemolo, esemplare raro d’italiano
Esemplare raro, nel mondo culturale italiano. Cattolico di profonda fede, professore di diritto ecclesiastico già nel 1920, estimatore e amico di papa Montini (di cui apprezzava i dubbi e le domande), ammiratore di papa Wojtyla (di cui pure notava: «Non ha mai dubbi»), al tempo stesso laico difensore della laicità dello Stato. Difesa che attraversò l’intera sua vita di studioso, storico e giurista, che contraddistinse la sua lunga attività giornalistica e che caratterizzò anche la sua breve parentesi politica quando fu candidato, nel 1958, per le liste alleate del Partito repubblicano e del neonato Partito radicale, nato da una costola de “Il Mondo” di Mario Pannunzio.
Arturo Carlo Jemolo, nato nel 1891 e morto nel 1981, fu tra i cattolici che coraggiosamente si opposero alle leggi razziali (che una cosa è opporsi durante il fascismo e altra condannare nel secolo successivo). Ma fu anche tra quanti, una volta nata la Repubblica, volevano fossero superate le barriere concordatarie che democristiani e comunisti avevano invece iscritto nell’articolo 7 della Costituzione. Si batté contro la legge maggioritaria del 1953, criticando un Alcide De Gasperi di cui poi non ebbe problemi a sottolineare i positivi lasciti alla nostra storia nazionale, giacché laicità è anche assenza di faziosità e preconcetto. Nei suoi articoli continuò pervicacemente a condannare malattie che vedeva crescere: lo statalismo, l’assistenzialismo e il gigantismo burocratico.
La fede era per lui fonte di speranza, ma riteneva anche non si dovesse mai dismettere la ragione, i cui nemici contrastava con ogni forza. E il suo ragionare non si muoveva all’unisono con l’Italia che vedeva avanzare. Poco prima di morire scrisse: «Dico solo: quando rievoco i molti che divisero con me le grandi speranze del 1945 e degli anni immediatamente successivi, penso che sono stati amati da Dio quelli che hanno chiuso gli occhi in tempo per non vedere l’Italia del 1978». Quella del rapimento e uccisione di Aldo Moro, della violenza dilagante; quella, secondo le sue parole, dei «nemici della ragione».
Eppure li aveva visti eccome, quei nemici, dilagare e trionfare, li aveva visti tronfi e al potere, li aveva visti umiliare l’Italia e disonorare la sua storia durante il fascismo. E vedendoli non pensò mai si potesse non combatterli. In quel suo giudizio di novantenne c’era la tristezza dell’epilogo, ma anche la determinazione e il coraggio del giovane che non aveva mai smesso di essere. Ed è quello lo Jemolo, cattolico credente nella ragione, che è colpevole dimenticare.
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