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Astenia

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C’è un filo che unisce la condotta di Giorgia Meloni in sede europea e la presenza nel suo partito di soggetti che utilizzano un intollerabile linguaggio fascista

Astenia

C’è un filo che unisce la condotta di Giorgia Meloni in sede europea e la presenza nel suo partito di soggetti che utilizzano un intollerabile linguaggio fascista

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C’è un filo che unisce la condotta di Giorgia Meloni in sede europea e la presenza nel suo partito di soggetti che utilizzano un intollerabile linguaggio fascista

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C’è un filo che unisce la condotta della presidente del Consiglio in sede europea e la presenza nel suo partito di soggetti che utilizzano un intollerabile linguaggio fascista e antisemita. Ed è un filo che lega la politica italiana al passato che gli stessi protagonisti sentono più come una zavorra che non come un valore.

Prima delle elezioni politiche di due anni fa non vedevamo all’orizzonte pericoli che portassero a regimi dispotici. Continuiamo a non vederli. Non vediamo nemmeno, purtroppo, la forza di utilizzare la vittoria elettorale come il viatico verso una destra conservatrice, atlantista ed europeista, ovvero una destra capace di interpretare i problemi e le speranze del secolo presente e non di quello passato. Ve ne erano – e ve ne sono – tutte le condizioni, ma difetta l’univoca sicurezza di vivere il presente e pensare al futuro senza sentire il bisogno di confortare i seguaci di una forza di estrema minoranza. È come se si procedesse guardando al 4% che si era, piuttosto che a più di un quarto dei voti espressi.

Meloni ha più paura dei pochi che potrebbero darle, sbagliando, della ‘traditrice’ piuttosto che fiducia nei molti che hanno visto in lei una speranza. Questo conduce a una forza apparente che cela un’astenia incombente e produce un’apparente prepotenza che cela insicurezza della propria potenza. Un po’ come il botolo ringhioso, che maschera la debolezza.

Il problema di Meloni in Unione europea non è l’essere esclusa o i ‘caminetti’, che sono delle sciocchezze. Il problema è che fare quel che converrebbe all’Italia e a lei stessa – raccogliere i frutti di due anni di lavoro in accordo con von der Leyen e dell’essersi schierata con l’Ucraina (come la designata Kallas) – comporta il fare i conti con la coalizione che la sostiene, che sui temi europei e sulla Russia non contiene sensibilità diverse ma posizioni opposte. Ripetere che in quelle condizioni è anche l’opposizione non pareggia i conti, li aggrava.

Salvini parla delle designazioni come di un «colpo di Stato» e Tajani ricorda che il vincitore delle elezioni europee è il suo Partito popolare europeo. Ovvero il presunto autore dell’inesistente colpo di Stato. C’è ancora tempo e spazio per rimediare, per evitare che il voler sostenere le tesi di una parte politica danneggi gli interessi dell’Italia. C’è ancora la possibilità che la scena cui abbiamo assistito si traduca in un ragionevole e profittevole accordo, ma anche in quel caso non si risolverebbe il problema interno. La buona politica può cambiare la realtà, ma mai ignorarla.

Ha ragione Guido Crosetto, fra i fondatori di Fratelli d’Italia, quando avverte che il linguaggio di estremismo e odio di taluni dirigenti e militanti del suo partito è da considerarsi molto grave, chiamando conseguenze politiche, ma che farne campagne indirizzate verso specifiche persone non è destinato a far scendere il tasso di odioso odio. Ha ragione perché sottolinea il problema più grosso, ovvero la loro esistenza e permanenza, che non si risolve con qualche dimissione. Fondatori e gruppo dirigente di FdI sanno benissimo che quel tipo di persone sono fra loro e sanno che sono un guaio, ma sono anche (almeno in parte) quel che loro stessi furono. Tenere assieme le cose continuando a usare il linguaggio della minoranza discriminata – essendo in maggioranza ed essendo stati al governo da trent’anni – non è possibile. E se si ha paura d’essere considerati traditori da questa gente s’è già persa qualsiasi partita politica importante.

A settembre si presenta la legge di bilancio, che non sarà certo condizionata dalle braccia tese e dagli orrori fra camerati, ma neanche potrà funzionare se si prenderà in giro la maggioranza degli elettori per timore della minoranza che si fu.

In fondo capitò anche a sinistra: se non si coglie il momento per rinnegare gli errori del passato prima si diventa poltronari, poi si passa a panchinari e presto ci si trova in fuorigioco. Poco ce ne importerebbe, se non fosse che così si danneggia l’Italia.

di Davide Giacalone

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