La recente mossa di Putin, che ha riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, è una sfida dichiarata al mondo occidentale.
Alla fine Putin ha fatto la sua mossa, riconoscendo le sedicenti repubbliche russe nell’est dell’Ucraina e inviando “truppe di pace“, i cui primi contingenti sarebbero già da ieri in territorio ucraino. Inutile girarci intorno: lo zar del Cremlino ha preso in giro i leader occidentali, anche solo limitandosi agli incontri dell’ultimo mese.
Significative le reazioni francesi e tedesche, che hanno sottolineato come il presidente russo abbia contravvenuto a tutto quello che aveva dichiarato nei faccia a faccia con il presidente Macron e il cancelliere Scholz. Aggiungeteci un riconoscimento che equivale ad un’annessione e l’ipocrita formula delle ‘truppe di pace’ e si capirà agevolmente il livello di azzardo scelto da Putin.
L’intento appare abbastanza chiaro, provare a vincere la partita magari senza una guerra totale contro l’Ucraina, contando di contenere la reazione occidentale a parole di fuoco e sanzioni economiche non troppo dure. Putin, in sostanza, mira a dividere in qualche modo il nostro campo, contando sulle paure europee legate agli approvvigionamenti energetici e più generale alle ricadute inevitabilmente disastrose di una guerra sulle economie di Paesi che stanno cercando di ripartire dopo lo shock della pandemia.
Una sfida dichiarata al nostro mondo, a cui si dovrà rispondere mantenendo compatto quanto più possibile il fronte occidentale, andando anche a vedere gli eventuali bluff del presidente russo (ce ne saranno). Fermezza assoluta, ma anche sangue freddo e capacità di tenere aperto il dialogo con un uomo che ha ampiamente dimostrato di poter dire una cosa e fare esattamente l’opposto mantenendo una glaciale indifferenza e con artifici retorici vecchi come il mondo.
Non sarà facile e neppure piacevole, ma è l’unico modo per aiutare l’Ucraina e soprattutto tentare di evitare una guerra totale russo-ucriana, in cui l’Occidente non sarebbe certo disposto a “morire per Kiev“ intervenendo direttamente (e Putin lo sa).
È una buona cosa, in quest’ottica, che il viaggio di Draghi a Mosca resti confermato, almeno per il momento. Più in generale, sarà bene ricordarsi con chi abbiamo a che fare, quando andranno prese decisioni strategiche per il futuro energetico dell’Italia e sul nostro posizionamento geopolitico. Ci risuonano ancora nelle orecchie certe prelibatezze populiste sentite solo pochi anni fa – “mi sento più a casa a Mosca che a Washington” – oggi particolarmente sinistre.
di Fulvio Giuliani
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