Le porte girevoli dell’autonomia differenziata
Sull’autonomia ogni partito vuole ergersi a paladino di una o dell’altra frangia. Ripercorrendo la storia recente si scova un infinito cambio di ruoli, sempre a caccia del consenso
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Le porte girevoli dell’autonomia differenziata
Sull’autonomia ogni partito vuole ergersi a paladino di una o dell’altra frangia. Ripercorrendo la storia recente si scova un infinito cambio di ruoli, sempre a caccia del consenso
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Le porte girevoli dell’autonomia differenziata
Sull’autonomia ogni partito vuole ergersi a paladino di una o dell’altra frangia. Ripercorrendo la storia recente si scova un infinito cambio di ruoli, sempre a caccia del consenso
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Sull’autonomia ogni partito vuole ergersi a paladino di una o dell’altra frangia. Ripercorrendo la storia recente si scova un infinito cambio di ruoli, sempre a caccia del consenso
Non ci sono vincitori perché non possono essercene. Sull’autonomia nelle sue diverse declinazioni nel corso dei decenni (è bene ricordare che la regionalizzazione del nostro Paese è sancita dalla Costituzione e che le Regioni medesime furono create nell’ormai arcaico 1970) si sono esercitati tutti. Recitando a turno il proprio ruolo in commedia da paladini dell’autonomia o del centralismo a seconda delle mode del momento, degli equilibri politici, delle convenienze e dei dividendi elettorali. Nessuno (dicasi nessuno) può accampare con una qualche ragione particolari meriti.
Abbiamo scritto di come i disastri attuali della sanità in Italia – la follia dei venti diversi servizi regionali, del perenne dissesto economico e della tragica differenza nell’assistenza ai cittadini – siano il frutto malato della sciagurata riforma nel 2001 del Titolo V della Costituzione, voluta dal centrosinistra per tamponare con le mani le enormi falle di un’inevitabile sconfitta elettorale in arrivo. Cinque anni dopo fu la “devoluzione” (ricordate?), l’architettura molto più politica che costituzionale ideata da Silvio Berlusconi per tenere insieme le diversissime anime della sua maggioranza: dal secessionismo delle origini della Lega al centralismo storico della destra.
Passò, per poi essere affondata dal referendum confermativo del 2006. Allora, a urlare contro i rischi degli eccessi dell’autonomia era il centrosinistra, che aveva evidentemente dimenticato di essersi lanciato gioiosamente nel disastro della riforma del Titolo V appena un lustro prima. Lo stesso centrosinistra, in salsa renziana, ci riprovò dieci anni dopo, andando a schiantarsi nel 2016 su un nuovo referendum confermativo, follemente tramutato dal leader del Pd in un giudizio universale sulla sua persona. Ovviamente, allora il centrodestra – aiutato da una marea di malpancisti che non vedevano l’ora di liberarsi di Matteo Renzi – si schierò contro la riforma costituzionale.
In questo infinito girotondo siamo arrivati all’“autonomia differenziata”, parte del programma della coalizione trionfatrice il 25 settembre 2022 e appena licenziata dal Consiglio dei ministri con il consueto corollario di paroloni e immagini a effetto (da «Giornata storica» a «Italia sfasciata»), palesi esagerazioni per una riforma accolta dall’indifferenza dei cittadini. Come dar loro torto, dal momento che degli ambiti e dei limiti di questa nuova autonomia su base regionale nessuno può saper nulla, perché non definiti e rimandati alla severa analisi della presidenza del Consiglio dei ministri prima e del Parlamento poi. Al massimo si può procedere per esclusione: la scuola per carità, che già è messa male di suo, la sanità è già regionalizzata e così via. Dovremmo appassionarci al ritorno delle Province, proposto dal leader della Lega? Improbabile.
Così quello che resta sono le posizioni che continuano a vorticare, come se fosse sempre possibile sostenere tutto e il suo contrario. Si pensi all’aspirante leader del Partito democratico Bonaccini, ieri favorevole all’autonomia differenziata e oggi suo fiero avversario per non concedere ulteriore spazio politico al Movimento 5 Stelle neocentralista e assistenzialista.
Fra nove giorni si voterà per le elezioni regionali e vedremo quanto potrà pesare in Lombardia e nel Lazio, in un senso o nell’altro, lo squillo di trombe sull’autonomia che nessuno ha capito cosa sia. Subito dopo, in teoria, si dovrebbe cominciare a lavorare sul serio. Auguri.
Di Fulvio Giuliani
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