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Balneari

Balneari e ombrellate

Hanno preso un’ombrellata, gli estremisti dell’ombrellone, perché s’è dimostrato che la protesta delle balneari era fumo e la demagogia smog

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Balneari e ombrellate

Hanno preso un’ombrellata, gli estremisti dell’ombrellone, perché s’è dimostrato che la protesta delle balneari era fumo e la demagogia smog

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Balneari e ombrellate

Hanno preso un’ombrellata, gli estremisti dell’ombrellone, perché s’è dimostrato che la protesta delle balneari era fumo e la demagogia smog

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Hanno preso un’ombrellata, gli estremisti dell’ombrellone, perché s’è dimostrato che la protesta delle balneari era fumo e la demagogia smog

L’ombrellata l’hanno presa quelli che puntavano sugli ombrelloni chiusi per dimostrare la propria forza e hanno, invece, messo in scena la debolezza delle forze politiche che sono andate appresso a una mera illusione. Forze politiche di destra, che condivano la presunta e infondata difesa dei balneari con l’antieuropeismo grazie al quale resuscitare il loro essere anti-sistema e – al tempo stesso – parte del sistema. E forze politiche di sinistra, che hanno accuratamente allontanato da sé l’onere di bandire le gare, nel timore di disturbare un interesse e offrire il fianco agli avversari. Da anni sosteniamo che la sola cosa utile sarebbe strutturare i bandi di gara, offrendo un vantaggio a chi ha investito e ben gestito un bene pubblico. Ma il solo governo che ci ha seriamente pensato è quello Draghi, prontamente fermato dalle forze di cui si è detto. Al punto che ora molti balneari dicono: ridateci lo schema Draghi.

Hanno preso un’ombrellata, gli estremisti dell’ombrellone, perché s’è dimostrato che quella protesta era fumo e la demagogia di chi li ha assecondati resta smog. Molte associazioni di categoria si sono dissociate. Quelli che hanno aderito alla protesta in realtà non l’hanno fatta e, del resto, era congegnata in mondo tale che ne parlassimo solo noi che commentiamo queste cose, perché l’ombrellone chiuso fino alle 9.30 del mattino è già di suo un castello di sabbia costruito troppo avanti sulla battigia: ti giri e non c’è più.

Le ombrellate, però, le prendiamo tutti noi se ci si ostina a non imparare. Troppi pensano che, in fondo, non siano affari loro, che al mare ci vanno, pagano in nero e con una mancia ottengono l’ombrellone che desiderano. E troppi fra i gestori balneari, che ben conoscono la situazione, hanno preferito che ad agitare la scena pubblica fossero quelli che manco i balneari fanno (come per gli agricoltori). Certo, non ne condividono le argomentazioni e gli ombrelloni li hanno aperti, ma, in fondo, forse qualche cosa ottengono e poi chi se ne importa. Così tengono nella povertà profittatrice il mercato in cui operano, si confondono con posizioni che non sono le loro. Mettono in mostra uno dei guai culturali di questa meravigliosa Italia: quel che è collettivo non m’interessa troppo, non ci credo, non penso le cose possano cambiare, ma non toccate la roba mia.

È così che si ottiene il risultato pazzesco: le concessioni balneari sono 7.244; i concessionari sono ancora meno, perché molti (legittimamente) hanno più di una concessione; i bagnanti sono milioni; i turisti sono ricchezza ma si fa finta di credere che il solo interesse nazionale rilevante sia quello di un ridotto numero di soggetti, che al dunque dimostrano di non ritenere nemmeno di avere un interesse comune. E non è che un interesse sia legittimo o meno a seconda che riguardi una minoranza o una maggioranza, è che la minoranza chiassosa di quella minoranza operosa chiede che sia protetta una disfunzione in danno dell’interesse collettivo. Per questo la politica dell’assecondare e del non intervenire è colpevole: perché frega l’interesse legittimo dei più.

La più possente delle ombrellate la prendiamo nell’accorgerci che questo sano e promettente conflitto fra interessi, ove quello legittimo e arricchente è anche quello della maggioranza, non trova una traduzione elettorale. Non la trova perché non si vota su cose e interessi, ma su passioni e schieramenti, per giunta più contro l’altro che a favore di qualcuno. Non la trova perché i partiti maggiori non sono divisi, ma uniti nell’inerzia, mentre qualche piccolo indiano è troppo occupato a tirare frecce sul tepee dove dorme il capo dell’altra tribù. E non la trova perché la lussuria dell’insipienza consiste nel lamentarsi e nel ripetersi, nel “chiagni e fotti” che difende la vita istituzionale dalla voglia di cambiare, lasciandola in balìa della voglia di disprezzare e abbattere.

L’Italia che compete funziona diversamente, ma temo sia un’aggravante del disinteresse alla cosa pubblica.

di Davide Giacalone

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