Il sostegno Ue
La campagna elettorale narra di un centrosinistra deciso a giocarsi la carta dell’Europa e dell’“Agenda Draghi”. Provando a giocare d’anticipo sul cavallo di battaglia di un consistente pezzo di centrodestra, storicamente ostile all’Europa
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La campagna elettorale narra di un centrosinistra deciso a giocarsi la carta dell’Europa e dell’“Agenda Draghi”. Provando a giocare d’anticipo sul cavallo di battaglia di un consistente pezzo di centrodestra, storicamente ostile all’Europa
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La campagna elettorale narra di un centrosinistra deciso a giocarsi la carta dell’Europa e dell’“Agenda Draghi”. Provando a giocare d’anticipo sul cavallo di battaglia di un consistente pezzo di centrodestra, storicamente ostile all’Europa
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La campagna elettorale narra di un centrosinistra deciso a giocarsi la carta dell’Europa e dell’“Agenda Draghi”. Provando a giocare d’anticipo sul cavallo di battaglia di un consistente pezzo di centrodestra, storicamente ostile all’Europa
La cronaca della campagna elettorale che scalda i motori narra di un centrosinistra (nelle sue varie declinazioni, pre e dopo l’accordo con Azione di Calenda) deciso a giocarsi la carta dell’Europa e dell’“Agenda Draghi”. Provando a giocare d’anticipo sul classicissimo cavallo di battaglia di un consistente pezzo di centrodestra (più destra, a onor del vero), storicamente ostile all’Europa.
A dirla tutta, nelle ultime ore la leader in pectore dell’alleanza, Giorgia Meloni, sta facendo di tutto e di più per accreditarsi a livello internazionale e spegnere i possibili focolai di “inaffidabilità”. Basti leggere l’ultima intervista al “Corriere della Sera”, in cui non mancano aperture di credito e professioni di fedeltà all’Unione europea che solo qualche mese fa sarebbero apparse chimere. Certo resiste Salvini, ma il momento politico non è sicuramente dei migliori per lui, perlopiù concentrato a ottenere la candidatura virtuale al Viminale. Quanto alle formazioni puramente populiste o “anti Euro”, appaiono al momento ai margini del grande gioco. Insomma, come al solito di Europa si fa un gran parlare per motivi strumentali ma nessuno che si prenda la briga di spiegare le cose per quello che sono. A volte perché un po’ difficili e certamente noiose, molto più spesso – sospettiamo – perché non pienamente rispondenti al disegno che si cerca di accreditare.
Veniamo ai fatti (quelli noiosi, ma che ci permettono di stare spaparanzati al solleone a dilettarci delle emozionanti trattative Letta-Calenda e delle resistenze passive di Berlusconi e Salvini alla Meloni): a luglio, la Banca centrale europea ha acquistato bond italiani per 9,8 miliardi di euro, cominciando a reinvestire i 1.700 miliardi a disposizione del Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp). La Bce ha così attivato il primo livello dello scudo di difesa europeo contro lo spread, studiato per prevenire o neutralizzare smottamenti nei rendimenti dei titoli di Stato. Per comprendere meglio il meccanismo in atto: mentre la Bce accelerava nell’acquisto dei titoli italiani, Francoforte riduceva quelli di bond tedeschi per 14,3 miliardi e anche di bond olandesi e francesi. È aumentato contemporaneamente il rastrellamento – oltre che di quelli italiani – dei bond spagnoli e greci. È lo schema di difesa che ha consentito al nostro spread di calare sotto quota 220 e al rendimento del Btp decennale di andare sotto il 3%, proprio mentre la politica italiana si lanciava nell’avventura del post Draghi. Immaginate cosa sarebbe accaduto senza lo scudo, dopo la fiammata a 250 dei giorni della crisi.
Questa è la realtà, questi sono i fatti, la cui analisi ci spinge a invitare i partiti a… tenere l’Europa fuori dalla campagna elettorale. Usare l’Unione come mera arma di propaganda, in un senso o nell’altro poco cambia, nel momento in cui attendiamo i fondi del Pnrr e lo scudo anti spread comincia a fare il suo lavoro avrebbe come minimo del paradossale. Stiamo ricevendo più di tutti e da più tempo di tutti, in misura di ciò che rappresentiamo nell’Unione ma anche in proporzione ai guasti che potremmo causare finendo fuori controllo.
Non è bontà, insomma, ma interesse. Il nostro e quello di tutti i nostri partner, compreso quello dei Paesi abituati a osservarci con il sopracciglio alzato. Deludere chi si è speso per aiutarci e confermare i peggiori pregiudizi sul nostro conto – anche attraverso un uso disinvolto e bislacco della retorica elettorale – sarebbe un atto di inarrivabile autolesionismo.
Di Fulvio Giuliani
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