Campagna elettorale. Si sente puzza di bruciato
Nel pieno della campagna elettorale, ad oggi, non abbiamo ancora avuto il piacere di sentire un’idea che sia una, una proposta che ci consenta di valutare chi scegliere per i prossimi anni
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Campagna elettorale. Si sente puzza di bruciato
Nel pieno della campagna elettorale, ad oggi, non abbiamo ancora avuto il piacere di sentire un’idea che sia una, una proposta che ci consenta di valutare chi scegliere per i prossimi anni
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Campagna elettorale. Si sente puzza di bruciato
Nel pieno della campagna elettorale, ad oggi, non abbiamo ancora avuto il piacere di sentire un’idea che sia una, una proposta che ci consenta di valutare chi scegliere per i prossimi anni
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Nel pieno della campagna elettorale, ad oggi, non abbiamo ancora avuto il piacere di sentire un’idea che sia una, una proposta che ci consenta di valutare chi scegliere per i prossimi anni
È incominciata la campagna elettorale, dicono. A me pare che i partiti vi fossero già da molti mesi. Intanto il governo Draghi, con i suoi pregi e difetti, ci stava portando fuori da alcune crisi: economica (atavica), pandemica e bellica (Ucraina). Ma si sa, noi italiani siamo fatti così: un anno vinciamo tutto, l’anno successivo guardiamo gli altri vincere in tv. Intanto io sento una gran puzza di bruciato. Come scrive il mio amico Giuseppe Aieta, nella sua essenza primordiale la politica dovrebbe essere l’arte di servire il popolo, «il cui termine deve essere riferito a quanto vi è di più onorevole e impegnativo». Qui mi pare che più che di servizio si parli di “servizi”. Legittimi o deviati, la Storia si ripete in modo quasi ossessivo, perfino noioso.
Quando i carri armati sovietici invasero l’Ungheria, alcuni compagni di peso del Partito comunista se ne andarono indignati. La maggior parte rimase e qualche leader plaudì pure all’iniziativa dei militari con la comune falce e martello, della quale erano tanto orgogliosi: non solo tra le salsicce delle feste dell’Unità ma anche tra valigette ricolme di rubli. L’Urss era il nemico, ci si poteva certo fare affari – vedi Agnelli e Togliattigrad – ma con moderazione e finto sdegno. Dossier ne sono sempre girati: arrivavano da Washington e da Mosca, magari via Berlino Est o Praga, dove si addestravano i compagni che avrebbero poi dato vita agli “anni di piombo”. Gli israeliani ne erano maestri, soprattutto rispetto ai palestinesi di Arafat, mentre gli egiziani hanno sempre avuto nel settore intelligence una grande tradizione. Ieri, come oggi.
Credo sinceramente che alla gente, ai cittadini, al popolo di questo importi poco o nulla. A Roma, che è la Capitale, fanno più presa il dibattito su Dybala, Mourinho, le reazioni indispettite di Lotito, i cinghiali e le zanzare. Il capitolo rifiuti è stato ormai archiviato, lì sembra proprio non esserci speranza. Il fatto che molti onorevoli del Movimento 5 Stelle torneranno a casa – per volere non del popolo ma del loro fondatore – interessa giusto quelli che plaudivano alle roboanti promesse del tipo «Questi li sfonnamo de brutto» e sono invece rimasti con l’angoscia di doversi cercare un lavoro. Sappiano che nel mondo reale uno non vale uno, come se n’è accorto giusto in tempo Luigino Di Maio.
A oggi non abbiamo ancora avuto il piacere di sentire un’idea che sia una, una proposta che ci consenta di valutare chi scegliere per i prossimi anni. Temo che l’indecisione e anche una quota parte di disgusto porteranno molti cittadini a disertare i seggi. È un diritto, ci mancherebbe, soprattutto se manderemo nel nuovo Parlamento vecchie e nuove statuine che dimostreranno da subito incompetenza e idee copiate da Google. Però poi, come già ebbi modo di scrivere qui, non lamentiamoci più di tanto. Rappresentano, nonostante tutto, il livello medio della popolazione italiana.
Di Andrea Pamparana
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