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Cani e gatti pronti ad entrare in Senato

La proposta sollecitata dalla seconda carica dello Stato, che consentirà a cani e gatti di entrare in Senato, sembra pronta a vedere la luce

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Cani e gatti pronti ad entrare in Senato

La proposta sollecitata dalla seconda carica dello Stato, che consentirà a cani e gatti di entrare in Senato, sembra pronta a vedere la luce

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Cani e gatti pronti ad entrare in Senato

La proposta sollecitata dalla seconda carica dello Stato, che consentirà a cani e gatti di entrare in Senato, sembra pronta a vedere la luce

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La proposta sollecitata dalla seconda carica dello Stato, che consentirà a cani e gatti di entrare in Senato, sembra pronta a vedere la luce

Alla fine i questori di Palazzo Madama si sono riuniti e hanno messo a punto il regolamento che consentirà a cani e gatti di entrare in Senato. Sembra dunque pronta a vedere la luce la proposta – sollecitata dalla seconda carica dello Stato – che punta a dare la possibilità ai senatori di portare il proprio animale al lavoro.

Nel dibattito pubblico c’è chi enfatizza la notizia parlando di una specie di rivoluzione e chi invece la guarda con meno fiducia, come un (ennesimo) ‘lusso’ per pochi. Alla prima categoria appartiene in realtà chi, soprattutto negli ultimi tempi, è smanioso di cambiare un paradigma: quello secondo cui un animale è semplicemente un animale. Una frase che se la pronunci sei – nell’ordine – brutto, cattivo, cinico, spietato e soprattutto senza cuore. Ma vuole semplicemente significare che non è detto (ecco, mettiamola così) che gli animali gradiscano fare gli umani, venire eretti a peluche, ricevere la pagella a fine anno dall’asilo (tutto vero!) o indossare cappottini griffati e cappellini di Natale, nonostante abbiano ormai trovato alloggio a letto, sotto le coperte, la notte. Che un settimanale sia arrivato a titolare la sua copertina (con la foto di un cane) “Nuovi figli” – e in effetti manca soltanto che si chieda di far fare la prima comunione al gatto – spiega molto.

La seconda obiezione è invece ragionevole. In effetti non è previsto che l’apertura delle porte di Palazzo Madama a cani e gatti faccia da apripista ad altri, se non ai colleghi parlamentari di Montecitorio. Nella stragrande maggioranza dei casi le aziende pubbliche italiane non danno questa possibilità ai lavoratori, con la sola eccezione di un paio di uffici comunali lombardi e delle Università di Milano e Padova, che hanno avviato una sperimentazione in questo senso. Escludiamo pure le aziende private (che ognuno a ‘casa sua’ fa entrare un po’ i cani che vuole), ma aprire a questa novità per i senatori – in un momento in cui (per citare papa Francesco) i cani sono così bramati da diventare talvolta sostituti dei figli e dunque il tema è molto sentito – rischia di allungare ulteriormente la distanza fra i cittadini (che i politici dovrebbero rappresentare) e il Palazzo.

Insomma, se in Senato si può portare il cane, allora si deve poterlo fare in tutti gli uffici pubblici. Per nulla sostenibile. Prima che qualcuno, sull’onda del fatto che il tema è così popolare, twitti «Con noi, cani in ufficio per tutti!» ragioniamoci un attimo. Vi immaginate il caos? Siete in coda con il numero in mano e, dopo minuti di estenuante attesa, allo sportello vi dicono: «Scusi eh, raccolgo le deiezioni del cane e sono subito da lei…».

Di Enrico Galletti

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