Capire il maggio – Il messaggio di Giorgia Meloni
Quello che i sindacati non hanno capito è che Giorgia Meloni sta sfidando il sindacato sul suo terreno: la difesa degli interessi dei lavoratori
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Capire il maggio – Il messaggio di Giorgia Meloni
Quello che i sindacati non hanno capito è che Giorgia Meloni sta sfidando il sindacato sul suo terreno: la difesa degli interessi dei lavoratori
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Capire il maggio – Il messaggio di Giorgia Meloni
Quello che i sindacati non hanno capito è che Giorgia Meloni sta sfidando il sindacato sul suo terreno: la difesa degli interessi dei lavoratori
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Quello che i sindacati non hanno capito è che Giorgia Meloni sta sfidando il sindacato sul suo terreno: la difesa degli interessi dei lavoratori
Sui contenuti del ‘regalo’ che Giorgia Meloni ha voluto fare ai lavoratori per il primo maggio, il giudizio non può essere univoco. Bene i soldi in più in busta paga (anche se non sono strutturali e gravano sul deficit pubblico). Più controverse le misure che sinistra e sindacati considerano precarizzanti, sui contratti a termine e sui voucher, anche se bisogna ricordare a tutti – lodatori e detrattori – che tutte le misure di questo tipo hanno effetti double-face. Voucher più facili producono sia effetti regolarizzanti (quando assorbono lavoro nero) sia effetti precarizzanti (quando sostituiscono assunzioni a tempo determinato o indeterminato). Un discorso analogo si deve fare per la facilitazione dei rinnovi dei contratti a tempo determinato: in alcune situazioni impediscono il passaggio a tempo indeterminato, in altre evitano il licenziamento.
L’elemento più interessante del regalo del primo maggio è però il messaggio che Giorgia Meloni ha voluto mandare. Che suona più o meno così: cari lavoratori, voi credete che a difendervi siano la sinistra e i sindacati, voi credete che il primo maggio sia una festa del mondo progressista, ma guardate che ci siamo anche noi; anzi, ci siamo soprattutto noi e ve lo dimostriamo con i fatti, non con le parole.
È credibile il messaggio? Per il centrodestra nel suo insieme, probabilmente no. Ma per Giorgia Meloni e il suo partito sì. Perché è da quando ha fondato Fratelli d’Italia che Meloni punta su lavoro e occupazione, non sulla flat tax. Ho avuto più di una occasione per rendermene conto e mi stupisco ogni volta che le vedo imputare politiche e intenzioni non sue. La prima volta fu nel 2014, quando raccolse un’idea di stampo keynesiano della Fondazione Hume (il maxi-job): azzerare i contributi sociali alle imprese che creano posti di lavoro aggiuntivi a tempo pieno. Ne ho avuto conferma qualche anno dopo quando, in un programma di Nicola Porro, le chiesi di scegliere fra tre politiche fiscali e lei scelse senza esitazioni la più pro-lavoro (ridurre le tasse soltanto alle imprese che aumentano l’occupazione). Ne abbiamo tutti ricevuto una conferma con il decreto lavoro e gli sgravi per le imprese che assumono giovani.
La realtà è che la flat tax non è una priorità di Meloni e del suo partito, anche se, su questo terreno, non potrà non fare concessioni ai suoi alleati. Per ora è riuscita a sterilizzare quasi completamente gli effetti negativi della flat tax sul bilancio pubblico inventandosi la flat tax sul “reddito incrementale” (sul reddito in più rispetto all’anno precedente): una misura che costa enormemente di meno di una vera flat tax, applicata a tutto il reddito.
Se riflettiamo su tutto ciò, risultano davvero incomprensibili le reazioni dei sindacati (soprattutto Cgil e Uil) e del Pd alla linea “lavorista” della presidente del Consiglio. I sindacati non paiono aver capito che, fin dall’intervento al congresso di Rimini della Cgil, Meloni sta sfidando il sindacato sul suo terreno, quello della difesa degli interessi dei lavoratori. Quanto a Elly Schlein, il suo caparbio rifiuto di vedere tutte le facce (non solo quelle discutibili) del decreto di maggio fa pensare che – anche lei – non abbia capito la radicalità della sfida di Meloni. Perché un conto è una sinistra che dice «Noi avremmo fatto di più», un conto è una sinistra che non vede quel che è stato fatto. Dire, come ha fatto la segretaria del Pd, che il decreto che contiene aumenti in busta per i lavoratori a basso reddito è «una provocazione» vuol dire vivere fuori della realtà, lontanissimi dai cancelli di fabbrica, estranei al comune sentire degli operai: come prima, più di prima. È questo il nuovo Pd?
Di Luca Ricolfi
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