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Chiacchiere e Pnrr

Sul Pnrr le chiacchiere si sprecano, così come il tempo. E come sempre, esiste un dato politico ed economico intrecciati inesorabilmente
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Sul Pnrr le chiacchiere si sprecano, così come il tempo. E come sempre, esiste un dato politico ed economico intrecciati inesorabilmente
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Sul Pnrr le chiacchiere si sprecano, così come il tempo. E come sempre, esiste un dato politico ed economico intrecciati inesorabilmente
Come sempre, ci sono un dato politico e uno economico intrecciati in modo inestricabile – tale che l’uno condiziona il secondo e viceversa – nell’analisi del modo in cui il governo procede sul Pnrr. Ogni valutazione deve affrontare entrambi i lati della questione, altrimenti è fuffa mediatica. Vediamo. Carlo Cottarelli spiega che le modifiche proposte dall’esecutivo che tanto hanno fatto imbestialire i Comuni (soprattutto quelli retti da giunte di centrosinistra, ovviamente) valgono l’8% del totale. Per cui è giusto dire che il Piano resta quello di Mario Draghi e, attenzione, della maggioranza di larghe intese che lo approvò. Tuttavia lo stesso economista sostiene che, dopo i cambiamenti intervenuti, il Piano è definitivamente di Giorgia Meloni e della sua maggioranza. Ebbene, vale l’una o l’altra considerazione? Una risposta che tenga conto sia dell’elemento politico che di quello squisitamente economico aiuta a sciogliere l’apparente contraddizione. È l’assunto di fondo, infatti, che va modificato, rilevando che Giorgia Meloni fin dall’inizio si è trovata alle prese con due impossibilità congiunte: per un verso, l’impossibilità di rigettare il Piano concordato con Bruxelles e vidimato dalla Commissione, pena l’isolamento dell’Italia e la gravissima crisi di credibilità conseguenti; per l’altro, l’impossibilità di adottarlo sic et simpliciter così come redatto da Draghi, viste le mutate condizioni congiunturali e la necessità di mostrare una adeguata capacità di intervento della nuova maggioranza. Le due impossibilità continuano a viaggiare assieme perché non possono essere disgiunte. E infatti la presidente del Consiglio e per lei il ministro Fitto continuano a sostenere che alla fine tutti gli obiettivi del Pnrr saranno raggiunti e tutti i fondi verranno erogati. Messaggio e impegno politico-economico assolutamente obbligato: e pazienza se per centrare l’obiettivo sarà necessario far slittare una serie di progetti e scontare la contrarietà dell’opposizione. L’importante è che la coalizione di centrodestra non mostri sbandamenti, soprattutto in vista del cruciale appuntamento delle elezioni europee del prossimo anno. Per onestà intellettuale e completezza di analisi va detto che le stesse impossibilità, con medesima caratura politico-economico-finanziaria, valgono a specchio per la Ue. Se un Paese fondatore come l’Italia dovesse, diciamo così, rigettare il Next Generation Eu, il contraccolpo per Ursula von der Leyen sarebbe esiziale e le sue ambizioni di bissare il mandato colerebbero a picco. E dunque? Foss’anche che le cose stessero così, non è forse vero che modificando il Pnrr il governo paga un deciso scotto politico-mediatico, con ciò indebolendosi proprio laddove Meloni finora coglie importanti successi e cioè sul lato della politica estera? Forse. Ma la questione non cambia. Perché al di là di ogni artificio retorico, un governo in carica – come accadrebbe per qualunque altro di qualunque colore – non può cancellare con un colpo di bacchetta quel che in dote gli ha lasciato il precedente e massimamente per un flusso di 200 miliardi fra prestiti e stanziamenti a fondo perduto. Ragion per cui Meloni è costretta a gestire il Pnrr e soprattutto è obbligata al suo successo. In caso contrario il rinculo sarebbe devastante. Certo, far ingoiare a Bruxelles che verrà mancato l’obiettivo di ridurre del 90% l’arretrato della giustizia civile sarà complicato. Per non parlare del passo indietro sulla lotta all’evasione. Ma non ci sono alternative. Meloni ‘deve’ vincere questa sfida. Quel -0,3% del Pil dimostra che il tempo delle chiacchiere deve finire. Sarebbe ora. di Carlo Fusi

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