Chiudere con il fascismo, senza paura dei nostalgici
Meloni faccia l’ultimo passo lontana dal fascismo, collocandosi dalla parte della Resistenza, del Cln, di chi si è battuto contro le stragi
Chiudere con il fascismo, senza paura dei nostalgici
Meloni faccia l’ultimo passo lontana dal fascismo, collocandosi dalla parte della Resistenza, del Cln, di chi si è battuto contro le stragi
Chiudere con il fascismo, senza paura dei nostalgici
Meloni faccia l’ultimo passo lontana dal fascismo, collocandosi dalla parte della Resistenza, del Cln, di chi si è battuto contro le stragi
Meloni faccia l’ultimo passo lontana dal fascismo, collocandosi dalla parte della Resistenza, del Cln, di chi si è battuto contro le stragi
Si è evidenziato da parte di molti il passo avanti della presidente del Consiglio compiuto con la dichiarazione in occasione della Giornata della memoria. Nella quale ha condannato il ruolo attivo del fascismo italiano a fianco della barbarie hitleriana. Un’evoluzione non soltanto formale rispetto alla precedente accusa, pur importante, nei confronti del «nazifascismo», formula giusta ma ancora un po’ sbrigativa. Questa volta Giorgia Meloni è stata più precisa. Il piano nazista di persecuzione e di sterminio del popolo ebraico è stato «un abominio condotto dal regime hitleriano». Con «la complicità in Italia anche di quello fascista».
Meloni ha dunque implicitamente alzato lo sguardo su Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema e le decine di stragi naziste compiute in Italia con la complicità del regime mussoliniano. Ora coraggio, presidente Meloni, faccia l’ultimo passo. Si collochi esplicitamente dalla parte della Resistenza, dell’azione del Cln, di chi si è battuto contro le stragi di matrice fascista. E contro la strategia della tensione che ha avuto in personaggi come Pino Rauti – con cui lei in età giovanile ha condiviso un pezzo di strada – responsabili di primo piano. E chiuda ogni spazio anche solo di neutralità nei confronti degli attuali saluti romani. Che qua e là ogni tanto si levano in qualche vicolo del nostro Paese.
Ormai il suo percorso è abbastanza chiaro. E non si capisce perché lasci ancora intatta la percezione di un impaccio a trarne le conclusioni logiche e politiche. È per paura di perdere i voti dei nostalgici? Ma un vero leader non ha paura di suscitare dissensi se si tratta di battersi per una causa alta. Gianfranco Fini, tre decenni fa, questo coraggio lo dimostrò. E poi si è chiesta, onorevole Meloni, quanti voti nuovi potrebbe acquisire? Soprattutto da parte di cittadini che ancora non considerano adeguato il suo tasso di democraticità. Quindi non le rimane che allargare il suo sdegno nei confronti del mussolinismo non solo in quanto complice dei nazisti relativamente alla persecuzione degli ebrei. Ma del fascismo in quanto tale, estendendo dunque la ripulsa a tutto il ventennio, alle sue basi ideologiche, all’insieme dei suoi misfatti.
Non c’è bisogno di vedere la serie “M” o leggere l’opera di Scurati da cui è tratta (ma per la presidente del Consiglio sarebbero due buone cose da fare, quando ne trovasse il tempo) per capire che non esiste un fascismo cattivo e uno meno cattivo. E di qui giungere alla critica e in parte all’autocritica per quello che è accaduto nell’età repubblicana per mano dei neofascisti. Che sfiorarono o addirittura militarono in quel Movimento sociale di cui da giovane lei fece parte. Ecco, dato che il suo partito Fratelli d’Italia parla molto di “pacificazione” e della necessità di chiudere quelle ferite, sarebbe un gran contributo da parte sua, signora presidente del Consiglio, se giungesse a compiere l’ultimo passo e definitivo. Dichiararsi antifascista.
Di Mario Lavia
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