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Colpe italiane

Non si può chiedere per mesi una presa di posizione chiara e netta su quelli che furono gli orrori nazifascisti e le colpe italiane, per poi girarsi dall’altra parte o arrampicarsi sugli specchi
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Colpe italiane

Non si può chiedere per mesi una presa di posizione chiara e netta su quelli che furono gli orrori nazifascisti e le colpe italiane, per poi girarsi dall’altra parte o arrampicarsi sugli specchi
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Colpe italiane

Non si può chiedere per mesi una presa di posizione chiara e netta su quelli che furono gli orrori nazifascisti e le colpe italiane, per poi girarsi dall’altra parte o arrampicarsi sugli specchi
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Non si può chiedere per mesi una presa di posizione chiara e netta su quelli che furono gli orrori nazifascisti e le colpe italiane, per poi girarsi dall’altra parte o arrampicarsi sugli specchi

Singolare, per quanto non sorprendente, l’impacciato silenzio che ha seguito le parole chiare e inequivoche di domenica del presidente del Consiglio in pectore Giorgia Meloni, in occasione dell’anniversario del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma. Silenzio politicamente comprensibile, ci mancherebbe, ma pur sempre da non far passare in cavalleria. Non si può chiedere per mesi una presa di posizione chiara e netta su quelli che furono gli orrori nazifascisti e le responsabilità italiane, per poi – quando queste parole arrivano – girarsi dall’altra parte o arrampicarsi sugli specchi. Si chiama disonestà intellettuale.

Concetti chiari, quelli espressi domenica. Parole libere dalla schiavitù di quei voli pindarici che, pur di riuscire a metter dentro tutto, usano il bilancino degli orrori nel tentativo di non scontentare nessuno. Lo avevamo sottolineato commentando il discorso di insediamento del neo presidente del Senato Ignazio La Russa: parole apprezzabili, ma minate dall’evidente tentativo di farci entrare a ogni costo il “ma anche”. La leader di Fratelli d’Italia ha avuto il merito di andare oltre e parlare di colpe «nazifasciste», senza ricorrere a inutili giri di parole. Usare il termine “nazifascista” è molto importante, perché ricorda anche ai distratti o agli immemori che noi italiani avemmo un ruolo nell’infamia. Non soltanto – sarebbe stato già imperdonabile – nella promulgazione delle leggi razziali, che trovarono fin troppa connivenza per i più squallidi interessi personali, ma anche nella fattiva collaborazione in occasione proprio della sconvolgente deportazione del 16 ottobre 1943. Sono parole importanti, perché da dichiarazioni simili non si torna indietro, nessuno può poi giocare impunemente sul filo dell’equivoco, tentando interpretazioni diverse dall’unica storicamente possibile.

La settimana scorsa invocavamo un’occasione per il Paese e un’occasione è oggettivamente arrivata, ma ora è l’intera classe politica a essere chiamata a saperla cogliere. Se ciascuno, per la sua parte, si arroccherà in ciò che è più comodo per miope propaganda, resteremo a metà del guado. Far pace con la propria storia e compiere percorsi di consapevolezza sono processi estremamente lunghi e complessi. In questo non siamo soli e conviene sempre ricordare i decenni che sono stati necessari alla Francia per completare un tragitto di reale presa di coscienza del dramma nazionale rappresentato dalla Repubblica di Vichy e dalle sue gigantesche responsabilità negli anni del collaborazionismo. Anche gli eredi – in verità autoproclamatisi – di chi scelse la lotta per la libertà, farebbero bene a considerare i pericoli del far finta di non vedere chi della lotta senza fine al nazifascismo fa solo una bandiera strumentale. Un’arma per non riconoscere legittimità politica all’avversario.

Sono decenni, ormai, che ci raccontiamo l’esigenza di “rappacificare” il Paese. La guerra civile è finita da ottant’anni, la nostra urgenza non è “fare la pace” ma conoscere la storia d’Italia senza raccontarne soltanto opposte versioni di comodo. Sembra difficile, ma in realtà è molto più semplice tendere la mano restando intimamente convinti di essere integralmente dalla parte della ragione e di poter offrire la propria graziosa indulgenza a chi ha sempre sbagliato tutto.

di Fulvio Giuliani

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