I membri del Consiglio europeo non hanno trovato l’accordo sulla questione energetica. Il che non giustifica a farne una questione tra buoni e cattivi, bene e male: la politica è mediazione.
Dopo quattordici ore di discussione sui diversi temi e dopo avere registrato l’accordo su questioni rilevanti – a cominciare dalla politica estera e l’atteggiamento da tenersi sulla questione Ucraina – il Consiglio europeo, che riunisce i capi di Stato o di governo, ha gettato la spugna sulla questione energetica: l’accordo non c’è, meglio rinviare.
Buona l’occasione perché i cittadini europei comprendano non solo i confini della discussione, ma quel che può comportare anche su altri terreni. Buona, insomma, l’occasione per non ragionare rozzamente in termini di: accordo o scontro, funziona o s’inceppa, bene o male. Non si vede in base a cosa le scelte collettive debbano avere meno sfumature e problematicità delle scelte che facciamo nel privato, comprese quelle delle vacanze.
I ventisette Paesi dell’Unione europea hanno già stabilito di avere interesse a una comune politica energetica. Riprodurre per il gas, ad esempio, il modello d’acquisto dei vaccini (curato da un’italiana e di gran successo), può essere un obiettivo, come lo è la convergenza sullo stoccaggio comune. I Paesi dell’Ue hanno già stabilito che gli obiettivi del già approvato piano Green Deal sono irraggiungibili, se non frutto di regole e sforzi comuni. E qui arrivano i problemi ancora non risolti.
Per la Polonia e l’Ungheria, ma anche per la Spagna, uno dei problemi è nel sistema Ets (Emission Trading Scheme), destinato a tenere in equilibrio le emissioni di carbonio e che, dicono, farebbe aumentare i prezzi. Non ve ne è dimostrazione, ma è una questione risolvibile in sede tecnica. Per taluni, fra i quali noi e la Francia, parametrare il prezzo dell’energia elettrica a quello del gas, che si è impennato, non è saggio, sicché il meccanismo deve essere rivisto. Ma per altri, fra i quali la Germania, non ne vale la pena, perché tanto quei prezzi scenderanno presto, tornando a un normale equilibrio di mercato. Questa divisione e questa argomentazione vanno tenute a mente, perché dal campo dell’energia potrebbero allargarsi molto. Ci arriviamo.
Inoltre c’è il tema delle fonti energetiche compatibili con il Green Deal, quella gergalmente detta “tassonomia”. Qui si aprono un problema di principio e uno pratico. Il primo: una volta stabilito che si devono raggiungere determinati risultati nel far scendere le emissioni di CO2, tocca all’Ue o a ciascun Paese regolarsi su quali usare per rispettare i vincoli? Il secondo: ove riguardi l’Ue, fra le fonti compatibili ci si deve mettere il nucleare e il gas, altrimenti l’accordo non lo agguanti. Potrebbe sembrare che a noi italiani interessi poco, perché tanto ci siamo nuclearmente suicidati, ma non è così, visto che il 10% dell’energia elettrica che usiamo lo comperiamo in Francia, prodotto con il nucleare.
Questi i confini, rozzamente riassunti. Come si vede non si tratta di bene o male, radici o fronde, vincitori o vinti, ma di questioni complesse che possono essere governate assieme. Per riuscire a farlo dobbiamo però prima trovare una linea comune. Ed è ragionevole che non sia facile.
Occhio al punto che suggerivo di tenere a mente, perché porta altrove. Se non vale la pena rivedere i meccanismi che fissano il prezzo dell’elettricità tanto quelli del gas poi calano (atto di fede), lo stesso principio potrebbe essere portato sull’ancora più complesso caso della modifica del patto di stabilità. Dove ci sono schieramenti simili, guarda caso. Cioè a dire: che ne sappiamo di come sarà il mercato nel 2023; il patto esistente ha funzionato, avendo anche previsto la propria sospensione; teniamoci questo. Già, ma noi abbiamo un debito mostruoso e la (qui prevista) decisione della Banca centrale europea tranquillizza per qualche mese, non di più. Il patto esistente non distingue fra spesa corrente e per investimenti, ma guarda ai saldi. I temi s’intrecciano, come si vede. E non dividono fra francesi, italiani, tedeschi e così via, ma fra idee diverse di convivenza e futuro.
Si chiama politica. E il nostro problema è che non ne discutiamo, dividendoci in anti e pro non si sa manco cosa.
di Davide Giacalone
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