Cosa succede ora al governo
Draghi non poteva non dimettersi, pur avendo ancora la fiducia delle due Aule parlamentari. Ora che succede? Per capirlo si deve misurare la distanza siderale fra certi politicanti e la realtà
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Draghi non poteva non dimettersi, pur avendo ancora la fiducia delle due Aule parlamentari. Ora che succede? Per capirlo si deve misurare la distanza siderale fra certi politicanti e la realtà
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Draghi non poteva non dimettersi, pur avendo ancora la fiducia delle due Aule parlamentari. Ora che succede? Per capirlo si deve misurare la distanza siderale fra certi politicanti e la realtà
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Draghi non poteva non dimettersi, pur avendo ancora la fiducia delle due Aule parlamentari. Ora che succede? Per capirlo si deve misurare la distanza siderale fra certi politicanti e la realtà
La distanza va cercata fra certa politica e la realtà dei problemi, non tra Palazzo Chigi e il Quirinale. Come preferiscono fare quanti provano a nascondere l’estremistica irresponsabilità che ha generato la crisi di governo. E siccome le propagande non vanno snobbate ma smontate, cominciamo da qui per cercare di capire come andrà, presto, a finire.
Draghi non poteva non dimettersi, pur avendo ancora la fiducia delle due Aule parlamentari. Era tenuto a farlo, per due ragioni: a. perché un gruppo aveva violato il patto dal quale il governo era nato e se un gruppo si permette di farlo, vista l’estrema eterogeneità dei componenti della maggioranza, proseguire facendo finta di nulla significa consegnarsi prigionieri agli altri laddove, all’opposto, il governo Draghi ha un senso solo se i suoi componenti sono tutti prigionieri del programma stabilito; b. vero che i pentastellati si sono in vario modo smandrappati, contraddetti, divisi e scissi – dopo avere perso molti parlamentari, dediti al ripopolamento dei gruppi altrui – ma su quel simbolo ha apposto la croce, nel 2018, il 32,7% degli elettori che si sono recati alle urne: furono loro i vincitori, gli stravincitori di quelle elezioni e in democrazia non si governa contro chi vince le elezioni.
Se era giusto, dunque, che Draghi si dimettesse, perché mai il presidente della Repubblica ha respinto quelle dimissioni e lo ha rinviato in Parlamento? C’è chi vede, in questo, una forzatura e un conflitto. Sbaglia. Il presidente non aveva scelta, perché nel pomeriggio di giovedì s’è presentato al Colle, dimissionario, un capo del governo che la mattina dello stesso giorno aveva avuto la fiducia del Senato, dopo avere avuto quella della Camera. Ovvio che la partita non poteva chiudersi con un: hai ragione, ho capito. Anzi, proprio perché hai ragione e ho capito ti rimando alle Camere, il che non pone un problema a te ma a chi ti ha messo nella condizione di dimetterti. Non è affatto un caso che a strologare di “forzatura” e a vedere “divisioni” siano i supporter degli sfasciacarrozze.
Ora che succede? Per capirlo si deve misurare la distanza siderale fra certi politicanti e la realtà. Nessuno, nel globo terraqueo, riuscirà a capire il perché gli italiani fanno fuori il loro governante migliore. Peraltro anche a detta di quelli che lo fanno fuori. Nessuno in Occidente capirà una mossa che indebolisce l’Italia nel rapporto con gli Usa, proprio nel mentre un po’ approfittava dei problemi inglesi. Nessuno in Ue riuscirà a immaginare in base a quale logica si fa cadere il governante che stava un po’ approfittando dei problemi tedeschi e francesi nonché il solo cui sarebbe stato difficile contestare conti e aspirazioni. E tutti questi sono in buona compagnia degli italiani, che non pensavano di dovere rinunciare alle cure del primario e luminare per affidarsi agli intrugli del cerusico guercio. Ma la frittata è fatta e le uova non si ricompongono.
Ora possono succedere tre cose. La prima è che si provi a evitare il dibattito parlamentare, facendo dimettere i ministri che solo in base alla responsabilità degli elettori si trovano dove mai si sarebbero dovuti trovare. Siamo stati noi elettori (mi ci metto pure io che manco sotto tortura li avrei votati) a eleggere questa roba. La colpa è nostra. La seconda è che Draghi vada in Aula, le canti chiare e l’emiciclo si mostri sordo, sicché torna al Colle e ribadisce i saluti. In questo caso si crea un esecutivo di servizio e si vota subito, sperando di non ritrovarsi le false coalizioni sulla scheda. La terza è che se la fanno sotto e rivotano la fiducia al medesimo governo con il medesimo programma che, però, muterebbe natura e diverrebbe un esecutivo “consolare”, che manda a spigolare i partitanti.
Non ce n’è una che sia buona e senza pericoli. Di buono, da questo troiaio, può venire solo che noi tutti ci si convinca che non si può votare inseguendo pulsioni volgari e che se è vero (purtroppo) che in democrazia si ha la classe politica che ci si merita, è semplicemente demenziale rivotare chi (mica solo i pentairresponsabili) ha incenerito il meglio che potesse capitare.
Di Davide Giacalone
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