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Crisi di rappresentanza, crisi di democrazia

La crisi della rappresentanza, nei rapporti fra eletti e corpo elettorale e quella del rispetto della grammatica istituzionale è ormai un problema comune alle liberal democrazie

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La crisi della rappresentanza, nei rapporti fra eletti e corpo elettorale e quella del rispetto della grammatica istituzionale è ormai un problema comune alle liberal democrazie

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La crisi della rappresentanza, nei rapporti fra eletti e corpo elettorale e quella del rispetto della grammatica istituzionale è ormai un problema comune alle liberal democrazie

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La crisi della rappresentanza, nei rapporti fra eletti e corpo elettorale e quella del rispetto della grammatica istituzionale è ormai un problema comune alle liberal democrazie

La crisi della rappresentanza, nei rapporti fra eletti e corpo elettorale e quella del rispetto della grammatica istituzionale è ormai un problema comune alle liberal democrazie. Vale a dire alla fetta di mondo economicamente più avanzata e con l’attenzione più sviluppata ai diritti dell’individuo, allo sviluppo sociale e al bilanciamento fra i poteri. All’Occidente, per farla breve.

Nessuno può accusarci di cedimento alla narrazione anti occidentale, con venature anticapitaliste. Ma proprio per questo sentiamo il dovere di sottolineare i rischi connessi alla crisi cui si accennava. L’elenco si è fatto ormai lungo e assomiglia sempre più a un’epidemia d’influenza politico istituzionale. Ampie fette degli elettorati di Paesi ricchi o in alcuni casi ricchissimi – Germania, Francia, Olanda, Austria, Usa, Canada – voltano le spalle ai cosiddetti partiti tradizionali. Convogliando centinaia di migliaia di voti su formazioni che solo pochi anni fa erano considerati dei reietti della politica. Dei refusi storici.

Il fenomeno globale dell’ultra destra ha ovviamente radici diverse da Paese a Paese. Ma anche il minimo comune denominatore di nutrirsi e speculare sull’incapacità reale o presunta dei partiti moderati e rappresentativi dell’establishment di intercettare le paure del III millennio. E di influenzarsi a vicenda.

Parliamo del terrore di perdere quote di ricchezza, mentre si sfarina il rapporto di fiducia che per decenni ha unito amplissime fette di cittadini ai partiti centristi. La paura è diventata la protagonista assoluta di ogni campagna elettorale. Quello che sta accadendo contemporaneamente in Germania e Austria non può lasciare indifferente nessuno che abbia una consapevolezza sia pur superficiale di cosa abbia vomitato la storia d’Europa nei primi cinquant’anni del Novecento. A Vienna è stato appena incaricato di formare il governo un signore che andava in giro in mimetica e ripetendo slogan nazisti. Non perché abbia la maggioranza ma perché chi rappresenta la maggioranza degli elettori non riesce a mettersi d’accordo. Un pericoloso film già visto anche da noi nei primi anni Venti.

Eppure tanti cittadini non ne sembrano preoccupati: cercano un’idea di sicurezza che ha bisogno di nemici. Ecco un’altra caratteristica dei nostri anni: agli avversari ideologici si sono sostituiti i “colpevoli”, cui ascrivere fallimenti e ritardi. Sono gli stranieri, le istituzioni sovranazionali, il sistema e l’equilibrio fra poteri che ha garantito decenni di ricchezza, progresso e sicurezza all’Occidente. Un paradosso assoluto.

Davanti a questo schema, l’area progressista è sembrata perdere una dopo l’altra tutte le sue armi tradizionali. In Francia e Canada hanno anche perso di vista il rispetto istituzionale, paralizzando i Parlamenti. L’avessero fatto dei leader di destra si sarebbe urlato al golpe ma è un intero modello politico a essere saltato.

Di Fulvio Giuliani

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