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Crisi di governo

Crisi sia

Se crisi deve essere, che lo sia. Il compito del governo è governare, non mediare per tenere assieme soggetti che seminano dichiarazioni contraddittorie. E il tema è cruciale: il collocamento internazionale dell’Italia

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Crisi sia

Se crisi deve essere, che lo sia. Il compito del governo è governare, non mediare per tenere assieme soggetti che seminano dichiarazioni contraddittorie. E il tema è cruciale: il collocamento internazionale dell’Italia

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Se crisi deve essere, che lo sia. Il compito del governo è governare, non mediare per tenere assieme soggetti che seminano dichiarazioni contraddittorie. E il tema è cruciale: il collocamento internazionale dell’Italia

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Se crisi deve essere, che lo sia. Il compito del governo è governare, non mediare per tenere assieme soggetti che seminano dichiarazioni contraddittorie. E il tema è cruciale: il collocamento internazionale dell’Italia

Se crisi ha da essere che sia. Non ci credo, non ha senso, ma il compito di un governo è governare, non star lì a mediare per tenere assieme soggetti che seminano dichiarazioni contraddittorie. Anche la discussione sulla spesa militare è scombiccherata, come se tutto si esaurisse nel quanto. E non si venga a raccontare che ci si esprime in quel modo, agitando bandiere insipide, perché altrimenti “la gente non capisce”. Semmai è l’opposto: si parla per slogan insensati sperando che la gente non capisca.

Che la spesa per la difesa debba aumentare è impegno preso dall’Italia e confermato da un governo appresso all’altro. Quindi metterlo in dubbio è come comunicare al mondo: non fateci caso, siamo dei pagliacci, firmiamo una cosa e ne facciamo un’altra. Che poi è pure falso, perché la spesa è effettivamente cresciuta. A cura degli stessi che ora dicono non debba crescere. Dovrebbe premere, invece, metterla in asse con la difesa europea, renderla più efficiente e farne occasione di crescita. Anche economica, della ricerca e del lavoro.

Oggi, inoltre, spendere meglio e di più serve a propiziare la pace. Sia perché forniamo sostegno alla resistenza ucraina, sia perché abbiamo un possibile ruolo nella garanzia della sua neutralità. Il che comporta la deterrenza della forza militare. Essere contro significa allontanare la pace, indebolire il fronte occidentale che si oppone a Putin e minare il delicato ruolo internazionale dell’Italia. Se qualcuno pensa di farlo è giusto che esca dal governo, è bene che apra la crisi. Ne faremo a meno e si andrà avanti senza (che è poi la ragione per cui non lo faranno).

La Russia ha invaso l’Ucraina con atto criminale, ha negato di averlo fatto, ha affermato di non volere insistere con Kiev, salvo continuare a bombardarla, dice di volere il negoziato, ma nega il cessate il fuoco. In queste condizioni ci sono ancora in giro dei malcapitati che hanno il coraggio di sostenerne le ragioni indebolendo le nostre. Sicché è bene essere chiari. È dal 1991, da quando si è sciolta l’Unione Sovietica, che si prova in tutti i modi a coinvolgere la Russia nei consessi internazionali, Nato compresa. Lo si è fatto per chiudere con gli effetti fossili del secondo conflitto mondiale e costruire un mondo che si era riusciti a rendere migliore. Nel corso di questo sforzo è normale che capi di Stato, governanti e politici abbiano avuto contatti con Putin e lo abbiano anche corteggiato. Così come è normale che si facessero affari con la Russia (se ne facevano anche con l’Urss), aiutandola a crescere (la loro economia è minuscola). Tutto ciò non ha nulla a che vedere con chi si è messo al servizio di Putin.

La sua Russia ha investito nella politica interna dei Paesi occidentali sia soldi che influenza. Lo ha fatto non per favorire una parte o l’altra, ma per dividere e indebolire. Talora riuscendoci. Questo è il punto: dopo l’invasione di febbraio, dopo l’atto criminale contro l’ordine internazionale, non c’è margine per tollerarlo. Chi ha qualche cosa da nascondere è consigliato di dirlo subito e liberarsi dal ricatto. Chi ancora vuol rendersi utile a quegli interessi non può che essere fuori dai governi occidentali. Come capitava ai comunisti del secolo scorso. Ai cittadini, agli elettori, alla “gente” va detto in modo chiaro. Libero ciascuno di noi di votare chi crede, ma liberati tutti dall’inganno.

Il tema decisivo va affrontato a viso aperto e riguarda il collocamento internazionale dell’Italia. Noi la vogliamo europeista e atlantica, sapendo che si tratta di una comunità con interessi diversi e talora conflittuali, nella quale fare valere i nostri in sicurezza. Lecito pensarla in maniera diversa, volere un’Italia disallineata, terzomondista, ponte mediterraneo e si scelga a piacimento la definizione. Ma ciascuno deve avere il coraggio di posizioni chiare. Se ne è capace.

di Davide Giacalone

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