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D’Alema, comunista persistente

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Il fatto che l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema fosse a Pechino per la grande parata dell’anniversario della vittoria non può suscitare meraviglia

D'Alema

D’Alema, comunista persistente

Il fatto che l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema fosse a Pechino per la grande parata dell’anniversario della vittoria non può suscitare meraviglia

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D’Alema, comunista persistente

Il fatto che l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema fosse a Pechino per la grande parata dell’anniversario della vittoria non può suscitare meraviglia

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Il fatto che l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema fosse a Pechino per la grande parata dell’anniversario della vittoria non può suscitare meraviglia. Un vero comunista, e D’Alema lo è stato, perde il pelo ma non il vizio. Consiglio a lui e ai nostalgici del bel tempo delle molotov filomaoiste la lettura del libro “Lapidi”, del giornalista e saggista cinese Yang Jisheng, edito in Italia da Adelphi. «Come si rappresenta la morte per fame di 36 milioni di persone?» scrive Jisheng. «È una cifra equivalente a 450 volte il numero delle persone uccise dalla bomba atomica sganciata su Nagasaki… Supera persino il numero dei morti della Prima guerra mondiale… Decine di milioni di persone scomparvero così, nel silenzio e nell’indifferenza». L’autore descrive la spietata, minuziosa, memorabile radiografia della criminale irresponsabilità di un sistema teocratico in cui Mao, il Grande Timoniere, è l’incarnazione stessa della verità universale.

Ecco come D’Alema giustifica la sua presenza a Pechino

D’Alema ha giustificato la sua presenza a Pechino sostenendo che «da qui giunge un messaggio di pace». Un messaggio di pace? Il super missile intercontinentale nucleare esibito in piazza equivale a una colomba con bandiera arcobaleno? E poi, dimmi con chi vai e ti dirò chi sei: Vladimir Putin (non proprio un pacifista) e il dittatore della Corea del Nord Kim Jong-un, uno che finisce a colpi di cannone quelli che non gradisce.

Per sua stessa orgogliosa ammissione, nel 1968 l’ex presidente del Consiglio tirava le molotov per protestare contro la guerra in Vietnam. Trent’anni dopo arriverà il bombardamento su Belgrado nella guerra del Kosovo. In piazza le bandiere della pace e Michele Santoro sul ponte in diretta tv, intanto lui a Palazzo Chigi autorizzava l’utilizzo dello spazio aereo per i raid Nato su Belgrado. Da Aviano i nostri Tornado decollavano fingendo di essere impegnati in missioni di ricognizione fotografica, rientrando alla base alleggeriti dopo aver sganciato il loro carico di bombe. D’Alema ha sempre rivendicato l’impresa deliberata dall’Act Order con il quale si predisponevano le nostre Forze armate alla guerra sotto il comando Nato.

Da Pechino, dunque, giungerebbe un messaggio di pace per un nuovo ordine mondiale

Da Pechino, dunque, giungerebbe un messaggio di pace per un nuovo ordine mondiale. Il mondo occidentale è pieno di difetti ma di quel nuovo ordine ne facciamo volentieri a meno. In piazza c’erano anche l’iraniano Masoud Pezeshkian (noto esponente di un regime che aspira alla pace con la distruzione dell’“entità sionista”, che tradotto vuol dire Israele), il bielorusso Lukashenko (portaborse di Putin) e perfino il capo della giunta militare birmana Min Aung Hlaing, che ha portato il suo Paese a una guerra civile e a una drammatica crisi umanitaria più volte ricordate da papa Francesco.

Non che in Italia le scelte operate da D’Alema siano state sempre adamantine. Dalle parti di Siena – piazza Salimbeni, Monte dei Paschi – anche i compagni non amerebbero vederlo sfilare, dopo i disastri della piccola Banca 121 che diedero il via alla crisi del più antico istituto di credito del mondo. Nell’agosto 2006 sono passate alla storia le fotografie di D’Alema, allora ministro degli Esteri, a passeggio sottobraccio e in amorosi sensi con i leader (terroristi) di Hezbollah. In quell’occasione si spinse oltre e affermò che era «sbagliato l’ostracismo verso l’Iran». Alle critiche volle replicare con la consueta arroganza: «Spesso in Italia prevale l’ignoranza di trogloditi che non sanno di cosa si parli». Gran brutta bestia l’ignoranza, in effetti.

di Andrea Pamparana

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