AUTORE: Fulvio Giuliani
Se non fosse tragico lo sfondo su cui ci muoviamo, non sarebbe difficile intravedere spunti persino comici nei silenzi e nelle imbarazzate risposte sull’ormai leggendaria missione d’aiuto russa all’Italia, ai tempi del lockdown.
Già il nome scelto dice molto e avrebbe dovuto dire altrettanto all’epoca: “Dalla Russia con amore“. In realtà, lapsus freudiano di quelli clamorosi, considerato che di agenti segreti – meno scaltri e certamente meno affascinanti del James Bond protagonista del film citato – ce n’erano un bel po’ su quei cargo arrivati dalla Russia all’aeroporto di Pratica di Mare.
Come scrivo questa mattina su La Ragione, gli Ilyushin russi abbondavano di uomini in mimetica qualificati come “autisti“, interpreti“ e (capolavoro) “esperti sanificatori“.
Gente che avrebbe voluto “sanificare“ tutto il Paese, a cominciare dai luoghi più sensibili, con la scusa del Covid. Per fortuna, qualcuno mantenne il cervello acceso e fu impedito ai russi di fare quello che volevano, anche se molto fu concesso.
Nella migliore delle ipotesi appare ormai estremamente probabile che gli uomini calati da Mosca in Italia fecero un bel po’ di ‘intelligence sanitaria’, più che portare aiuto. A Bergamo si ricordano molto bene come non sapessero nulla dei protocolli da applicare, risultassero più di intralcio che altro, finendo per imparare da noi a contrastare il virus, più che aiutare e acquisendo informazioni da usare poi in patria.
L’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte ieri ha cercato di derubricare tutto a un “non accade nulla, lo hanno verificato i servizi segreti“, che non dice nulla e non fornisce alcuna risposta alle domande cruciali: quali furono gli accordi presi da lui e Putin, cosa promettemmo ai russi, cosa hanno fatto, perché all’epoca non si poteva chiedere nulla sul loro conto, pena silenzi infastiditi o risposte seccate?
Oggi, Mosca ci minaccia apertamente e ci rinfaccia proprio quella missione, che ogni giorno appare sempre più una copertura.
Non dimentichiamo che a parte un po’ di mascherine e di camici il resto dell’attrezzatura si dimostrò scarsamente utilizzabile e, nel caso di ventilatori, con l’antipatica tendenza a prendere fuoco. Per fortuna non in Italia.
Tace sull’argomento il ministro degli Esteri Luigi di Maio, si è cucito la bocca Matteo Salvini, all’epoca all’opposizione ma campione dei putiniani d’Italia negli anni oscuri in cui in troppi sbandarono pericolosamente verso dittature e autocrazie.
Un rischio clamoroso corso dal nostro paese, che forse riusciamo a comprendere un po’ di più anche ricostruendo quella missione che di ‘amore’ non aveva proprio nulla.
di Fulvio Giuliani
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