Nella corsa al Quirinale, arrivata ieri alla quarta fumata nera, l’unica primaria esigenza è mantenere saldi gli equilibri del governo Draghi. Procedendo con sicurezza e senza strategie.
Dovrebbe essere il giorno decisivo. Condizionale e prudenza d’obbligo, dopo che abbiamo visto i partiti affacciarsi sull’orlo dell’abisso da lunedì a mercoledì (e noi con loro), per recuperare solo ieri la necessaria consapevolezza della posta in gioco. La reciproca disponibilità delle alleanze di centrodestra e centrosinistra – per quanto possa apparire pomposo e velleitario definirle tali – a deporre le armi e garantirsi una giornata di trattative più o meno serene ha spianato la strada alla ricerca di un nome capace di fare l’unica cosa che realmente conti: assicurare gli equilibri vitali al nostro Paese.
Non stiamo discutendo, è bene ribadirlo a ogni occasione, delle qualità personali dei profili in gioco. Tutte persone degne della massima attenzione e fiducia, per quanto come ovvio diversamente popolari fra loro e di differente estrazione politica e professionale. Qui si deve ragionare di chi possa salire al Quirinale senza mandare a ramengo la maggioranza del governo Draghi. Tanto per cominciare.
Se il nome prescelto, anche il più nobile su piazza, non dovesse soddisfare questa primaria esigenza, riporteremmo le pedine drammaticamente alla casella di partenza di un Monopoli impazzito. Rimetteremmo in gioco e in un colpo solo tutti gli elementi di pericolo e incertezza che abbiamo qui elencato ieri (in estrema sintesi, esporre il Paese alla sfiducia internazionale e degli investitori, lasciarlo scoperto all’approssimarsi di una potenziale crisi internazionale in Ucraina e profondamente indebolito sui cruciali tavoli di politica economica che si apriranno nel 2022). La sia pur importante disponibilità reciproca fra gli schieramenti, da cui abbiamo preso le mosse per il nostro ragionamento odierno, non è nulla più che una precondizione necessaria. Quanto ai nomi, ricordando la premessa di poco sopra, gli identikit emersi nel pomeriggio di ieri sono gli stessi dell’altro ieri e questo non è un buon segnale.
Un altro profilo è entrato in gioco in modo quantomeno singolare, quello del costituzionalista Sabino Cassese. Una ‘candidatura’ nata come conseguenza di un incontro fantasma con il leader della Lega Matteo Salvini. A parte le circostanze tipiche di giornate convulse come queste, da prendere per quelle che sono, resta l’alto valore della persona ma soprattutto del profilo. Competenza elevatissima, prestigio riconosciuto lungo quello che un tempo si sarebbe definito “l’intero arco parlamentare”, una capacità di analisi e sintesi che risulterebbero perfette al Quirinale.
Identikit che – pensateci bene – si sovrappone perfettamente a Sergio Mattarella, ieri ‘salito’ a 166 voti nel quarto scrutinio. È su questa tipologia che si deve trovare la forza di convergere, dovesse venire meno ogni altra considerazione, anche solo per la presa di coscienza dei leader di non avere in realtà alcun controllo dei propri gruppi parlamentari. Il che vanifica qualsiasi tentativo di intestarsi trattative, tattiche e non pochi dispetti.
Di strategia meglio non parlare, perché ci sembrerebbe veramente troppo definire così questo confuso procedere per tentativi e sondaggi che ha messo l’Italia in una situazione a elevatissimo rischio. Per sovrapprezzo, riportando il Paese in quella condizione di perenne osservato speciale che non è solo un tema reputazionale ma una scomoda realtà che paghiamo in denaro tonante ogni giorno sui mercati.
Sarebbe imperdonabile, del resto, trasformare questi 10 mesi di governo Draghi in un’illusoria parentesi.
di Fulvio Giuliani
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