Decollato
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La partita del Quirinale e la candidatura di Draghi che apre la corsa al Colle.

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La partita del Quirinale e la candidatura di Draghi che apre la corsa al Colle.
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La partita del Quirinale e la candidatura di Draghi che apre la corsa al Colle.
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Quello del Colle è un potere elastico. Più la politica è forte, meno il Quirinale deve tendersi. E viceversa. Con gli elastici si deve fare attenzione, perché se li si allunga ad altezza d’occhio può capitare che sfuggano e accechino. Le premesse della corsa al Colle non sono confortanti.
Il 2020 lo abbiamo chiuso con un debito pubblico pari al 155,8% del prodotto interno lordo. Mostruoso. Le previsioni per il 2021 erano, ad aprile scorso, di arrivare al 159,8%. Le cose vanno meglio: posto che il valore assoluto del debito continua (e continuerà) a crescere, potremmo chiudere l’anno con una diminuzione del peso percentuale, al 154%. Il che lo si deve alla crescita del pil.
Un indubbio successo che, però, è solo un primo passo perché – anno dopo anno – si dovrà continuare su quella strada, senza che s’imbocchi il vicolo delle politiche restrittive ma puntando a un ritmo sostenuto nel crescere della ricchezza.
Cosa c’entra con il Colle? Molto.
Quel risultato, assieme ad altri indicatori positivi, può far credere agli stolti che la missione sia compiuta. Ringraziamo Draghi e torniamo al sollazzevole andazzo spendarolo. Ma la missione è appena iniziata. Il successo non si misura in settimane o mesi, ma in anni. A questo si aggiunga quel che il presidente del Consiglio ha detto e che è stato bellamente ignorato: le condizioni finanziarie potrebbero cambiare. Il debito potrebbe riprendere a costare di più ed essere meno assistito dalla Banca centrale europea. Altro che ‘missione compiuta’. Ed è qui che arriva il Colle. Si sostiene che le forze politiche, in vista delle elezioni (2023) riprenderanno a essere litigiose (avevano smesso?), rendendo difficile, se non impossibile, il lavoro del governo. E siccome dobbiamo tutto a Mario Draghi, meglio metterlo subito in sicurezza, eleggerlo presidente della Repubblica e andare alle elezioni. Ora, a parte l’ipotesi che un neo eletto dalla sua stessa maggioranza la sciolga, a parte la sola evidenza, ovvero che quel mondo politico ha capito che al 2023 non ci arriva vivo, ciò che colpisce, in quel ragionare, è la politica che si autodescrive come gregge isterico, sicché salva al Quirinale chi continuerà a transumarla verso verdi pascoli. Questo, però, tenderebbe l’elastico fino a torcere gli equilibri costituzionali. Il punto ineludibile è: come continua il lavoro appena iniziato? Quel che serve è l’opposto di un “liberi tutti”, semmai un “vincoliamoci”. Consideriamo l’indispensabilità della sponda europea, capiamo il travaglio tedesco, le scadenze francesi, le opportunità irripetibili e vincoliamoci a non deflettere da quel che si è abbozzato. La collocazione di ciascuno discenda da quel vincolo. L’alternativa al vincolarsi, per i politici, non è divincolarsi ma sciogliersi nel nulla rissoso. La marcia al Colle cambi musica, provi a porsi il problema di far decollare il Paese, non di decollare qualcuno. Di Davide GiacaloneLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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