Decreto flussi
Il cosiddetto “decreto flussi“, che stabilisce il numero di immigrati regolari di cui si dichiara la necessità economica, ha indiscutibili ricadute politiche. Si è passati dai 30mila del 2021 agli oltre 80mila immigrati per il 2022. A dirla tutta, una cifra insufficiente rispetto alle richieste che arrivano incessantemente dal mondo delle imprese.
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Il cosiddetto “decreto flussi“, che stabilisce il numero di immigrati regolari di cui si dichiara la necessità economica, ha indiscutibili ricadute politiche. Si è passati dai 30mila del 2021 agli oltre 80mila immigrati per il 2022. A dirla tutta, una cifra insufficiente rispetto alle richieste che arrivano incessantemente dal mondo delle imprese.
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Il cosiddetto “decreto flussi“, che stabilisce il numero di immigrati regolari di cui si dichiara la necessità economica, ha indiscutibili ricadute politiche. Si è passati dai 30mila del 2021 agli oltre 80mila immigrati per il 2022. A dirla tutta, una cifra insufficiente rispetto alle richieste che arrivano incessantemente dal mondo delle imprese.
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Il cosiddetto “decreto flussi“, che stabilisce il numero di immigrati regolari di cui si dichiara la necessità economica, ha indiscutibili ricadute politiche. Si è passati dai 30mila del 2021 agli oltre 80mila immigrati per il 2022. A dirla tutta, una cifra insufficiente rispetto alle richieste che arrivano incessantemente dal mondo delle imprese.
Il cosiddetto “decreto flussi“, che stabilisce il numero di immigrati (regolari, ovviamente) di cui si dichiara la necessità economica in vista del prossimo anno, ha indiscutibili ricadute politiche. Eppure è passato in un silenzio quantomeno curioso, considerato che parliamo di un tema di straordinaria delicatezza, per anni fonte di furibondi scontri fra forze politiche che sembravano depositarie di visioni diametralmente opposte della realtà. Tale era l’intensità del confronto e delle accuse reciproche. Nelle ultime ore, invece, il nulla. Si è passati dai 30mila del 2021 agli oltre 80mila immigrati per il 2022 senza colpo politico ferire.
Come sempre, il “decreto flussi” viene attuato con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri che taglia fuori il Parlamento dalla possibilità di discutere, emendare e votare il provvedimento.
Non è di per sé, insomma, una prova del ‘metodo Draghi’, secondo il quale su numerosi temi delicati il capo presenta pacchetti già pronti e definiti, sui quali i partiti non hanno alcuna possibilità di incidere. Detto questo, che il governo Draghi non sia esattamente il trionfo della democrazia parlamentare è un problema che abbiamo più volte sollevato su queste pagine, ma non è certo ‘colpa’ del presidente del Consiglio. È bene ricordare, poi, che nelle settimane a venire qualsiasi provvedimento verrà letto sotto la lente d’ingrandimento del posizionamento dei partiti in vista della corsa al Quirinale. Una vicenda che riguarda troppo da vicino Mario Draghi per non scatenare dietrologie a ogni passo.Nonostante tutte le letture che se ne vogliano fare, il “decreto flussi” resta però essenzialmente una norma chiave per la nostra macchina produttiva e la manifattura in modo particolare.
A dirla tutta, quella stessa cifra di 80mila immigrati prevista da Draghi è largamente insufficiente rispetto alle richieste che arrivano incessantemente dal mondo delle imprese. Secondo queste ultime, l’Italia avrebbe bisogno di un afflusso annuale ben superiore ai 150mila immigrati regolari e tutti sono coscienti che interi settori della nostra economia dipendono dalla manodopera straniera. Quanto alla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (il Nadef) 2021, si arriva a quota 170mila per ciascuno dei prossimi trent’anni!Ecco spiegato, molto prima dei calcoli con vista sul Quirinale, il perché del silenzio assordante anche di quei partiti che sulla questione migratoria hanno costruito consistenti fortune elettorali.
Non dimentichiamo mai che anche il governo più fieramente anti-migranti (a chiacchiere) della storia repubblicana, il Conte I, mise nero su bianco un fabbisogno di oltre 160mila lavoratori extracomunitari ogni anno. Capite, allora, come questa sia una faccenda essenzialmente economica e pratica, nella quale la politica rischia di fare dei gran danni se si muove seguendo istinti di propaganda. Il problema non è lamentarsi del presunto decisionismo autoreferenziale di Mario Draghi, piuttosto constatare come ancora una volta si sia rinunciato ad affrontare il problema in modo strutturale e maturo, preferendo appaltarlo in silenzio all’uomo del momento.Con il discutibile risultato che abbiamo una mezza soluzione, insufficiente rispetto alle appena richiamate esigenze dei nostri comparti produttivi, mentre c’è il fondato sospetto che i partiti si tengano di riserva la solita arma dei migranti.
Da tirar fuori all’occorrenza, quando magari Draghi sarà stato eletto al Colle e i ‘leader’ penseranno di poter riprendere come se nulla fosse vecchi balletti senza senso. Di Fulvio GiulianiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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Tag: immigrazione, Italia
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