Di Maio e gli altri, incoerenza dominante
Di Maio e gli altri, incoerenza dominante
Di Maio e gli altri, incoerenza dominante
Non entro nel merito della scelta di Josep Borrell di indicare Luigi Di Maio quale inviato dell’Unione europea nel Golfo Persico, se non altro perché trattasi di incarico dal valore più onorifico che pratico: non una poltronissima, ma uno strapuntino istituzionale ben remunerato. Però Luigi Di Maio è stato scelto a suo tempo – non nel secolo scorso ma pochi anni fa – quale capo politico del Movimento 5 Stelle. Come tutti i grillini, egli proclamava con fiero cipiglio che «uno vale uno» e che mai avrebbe potuto allearsi con il Pd, da lui definito «il partito di Bibbiano», qualifica davvero ignominiosa perché legata ai presunti traffici di adozioni di bambini.
Sappiamo com’è andata a finire. I reporter immortalarono Luigi Di Maio, fondatore di un nuovo partito con Bruno Tabacci (che non si può certo immaginare come un rivoluzionario), entrare in Largo del Nazareno per baciare la pantofola di Enrico Letta. Fu un flop clamoroso: il già ministro degli Esteri di ben due governi – compreso quello dei ‘migliori’ guidato da Mario Draghi – ottenne dagli elettori un numero di voti inferiori a un prefisso telefonico e non venne rieletto. Succede, comunque chapeau per l’ardimento.
Quel che però mi interessa è sottolineare un tema che mi è caro e che ho già trattato su queste pagine: in politica la coerenza è una virtù inesistente. Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha letteralmente schifato questa nomina, irriso Di Maio e le sue capacità di svolgere con dignità l’incarico europeo. Però è lo stesso Salvini che, caduto il secondo governo Conte, propose a Mattarella di dargli lo scettro di presidente del Consiglio. Ricordiamo anche che Di Maio non era certo ben voluto dal partito di Letta, visti i suoi trascorsi polemici e le sue dichiarazioni obiettivamente infamanti. Poco prima delle ultime elezioni, dopo la rottura con i 5Stelle e l’affermazione che «uno non vale l’altro», Di Maio fu però accolto con sorrisi e brindisi nella sede del Pd. Non erano più orchi indefinibili, ma “compagni” di strada per sconfiggere la Meloni.
Di Maio è stato vice presidente del Consiglio nonché ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, dello Sviluppo economico e degli Esteri. Ha lavorato a stretto contatto con Mario Draghi. In quanto italiani gli facciamo sinceri auguri. Non condividevo le sue idee prima, non le condivido oggi dopo la svolta “tabacciana”. A destra come a sinistra chiedo soltanto un po’ di coerenza, quel tanto che basta per non essere ridicoli.
di Andrea PamparanaLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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