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Salviamo il soldato Di Maio

Sul serio vogliamo credere che le critiche a Di Maio siano legate al suo profilo diplomatico? È solo lontananza, antipatia politica, qualche piccola vendetta da consumare
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Salviamo il soldato Di Maio

Sul serio vogliamo credere che le critiche a Di Maio siano legate al suo profilo diplomatico? È solo lontananza, antipatia politica, qualche piccola vendetta da consumare
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Salviamo il soldato Di Maio

Sul serio vogliamo credere che le critiche a Di Maio siano legate al suo profilo diplomatico? È solo lontananza, antipatia politica, qualche piccola vendetta da consumare
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Sul serio vogliamo credere che le critiche a Di Maio siano legate al suo profilo diplomatico? È solo lontananza, antipatia politica, qualche piccola vendetta da consumare
Salviamo il soldato Di Maio. Chiariamolo subito: dei destini personali dell’ex leader del Movimento Cinque Stelle ci interessa il giusto. Ovverosia pochissimo. Non risparmiammo critiche anche particolarmente severe all’allora vice presidente del Consiglio nella sua fase barricadera, quando – abbagliato dalla popolarità e da un potere tanto improvviso quanto effimero – portò pericolosamente il Paese sul ciglio di una diffusa irresponsabilità. Sono e restano demeriti indiscutibili, agli occhi di chi come noi crede nell’esercizio sobrio, equilibrato e ragionato del potere. Sempre e comunque. Proprio per questo, solo un cieco o un accecato dall’antipatia politica avrebbe potuto negare il percorso compiuto dallo stesso Luigi Di Maio. Sarà pur un lavoro fatto per tattica, convenienza e qualsiasi motivazione legata a interessi del momento o battaglie politiche personali, ma resta che fra quel rappresentante apicale dell’infausta era del “Vaffa” e il ministro degli Esteri del governo di Mario Draghi c’è oggettivamente un oceano. Anche un’evoluzione, una capacità di studio e applicazione che può essere ignorata solo ancorandosi a preconcetti particolarmente stupidi e fastidiosi. Il più classico, nel caso dell’ex leader pentastellato, che abbia venduto le bibite all’allora stadio San Paolo di Napoli. Come se lavorare da ragazzini fosse un’onta, tic che dice molto di certi detrattori. Il punto non è (solo) Luigi Di Maio, la sua caratura internazionale, il suo spessore politico, la sua capacità di coprire il ruolo di inviato speciale dell’Unione europea per il Golfo Persico, quanto la questione-Paese. Restiamo mostruosamente provinciali, di noi vanno bene solo i “nostri“. Se vinco io, gli amici miei. Se vinci tu, gli amici tuoi. Sul serio vogliamo credere che le critiche a Di Maio siano legate al suo profilo diplomatico? È solo lontananza, antipatia politica, qualche piccola vendetta da consumare. Niente di più, il solito spettacolo. Il problema non è Di Maio, siamo noi. Di Fulvio Giuliani

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