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Politica italiana Russia

Di qua o di là

La storia della politica italiana è anche la storia di equilibrismi, non di rado spericolati, fra la collocazione geostrategica del nostro Paese – determinata dalla conclusione della Seconda guerra mondiale e dagli accordi di Yalta – e una mai sopita fascinazione per “l’altra parte”. È necessario scegliere.
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Di qua o di là

La storia della politica italiana è anche la storia di equilibrismi, non di rado spericolati, fra la collocazione geostrategica del nostro Paese – determinata dalla conclusione della Seconda guerra mondiale e dagli accordi di Yalta – e una mai sopita fascinazione per “l’altra parte”. È necessario scegliere.
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La storia della politica italiana è anche la storia di equilibrismi, non di rado spericolati, fra la collocazione geostrategica del nostro Paese – determinata dalla conclusione della Seconda guerra mondiale e dagli accordi di Yalta – e una mai sopita fascinazione per “l’altra parte”. È necessario scegliere.
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La storia della politica italiana è anche la storia di equilibrismi, non di rado spericolati, fra la collocazione geostrategica del nostro Paese – determinata dalla conclusione della Seconda guerra mondiale e dagli accordi di Yalta – e una mai sopita fascinazione per “l’altra parte”. È necessario scegliere.
La storia della politica italiana è anche la storia di equilibrismi non di rado spericolati fra la collocazione geostrategica del nostro Paese – determinata dalla conclusione della Seconda guerra mondiale e dagli accordi di Yalta – e una mai sopita fascinazione per “l’altra parte”. Nei lunghi anni della Guerra fredda, non era soltanto il più grande Partito comunista dell’Occidente a guardare con ammirazione a Mosca: ampi settori trasversali del nostro arco costituzionale accarezzavano l’idea di una posizioneterza’. Era un barcamenarsi fra i blocchi, per godere dell’ombrello Nato e al contempo fare affari con i Paesi oltrecortina e soprattutto accreditarsi presso l’opinione pubblica con il volto di un pacifismo di maniera. Atteggiamento molto utile in termini elettorali e comodo paravento per atteggiamenti antioccidentali che da noi hanno sempre trovato fortuna e rappresentanza. Sentimenti che ovviamente c’erano prima e continuarono anche dopo le storiche parole del segretario del Pci Enrico Berlinguer, che ammise di sentirsi più sicuro da questa parte della cortina di ferro e protetto dalla Nato. Nell’era della contrapposizione Ovest-Est, però, la ricerca delleterze vie’ era relativamente a basso costo. La sostanza non poteva cambiare e tutto si riduceva a un dibattito tutto interno, magari un po’ meschino, ma dalle ricadute molto parziali sulla nostra politica estera. Certo, c’era il terzomondismo, come ci fu la politica energetica e industriale di Enrico Mattei, ma nessuno avrebbe osato mettere in discussione la collocazione atlantica dell’Italia. Oggi, davanti alla sfida lanciata da Vladimir Putin all’Occidente e ai nostri valori – erroneamente considerati una conquista ormai acquisita – lo schema è cambiato profondamente. Continuare in equilibrismi lessicali, far finta di non aver lodato, indossato magliette o assegnato patenti di leader storici a uomini rivelatisi nostri nemici non è più proponibile. Le scelte politiche sono sempre legittime, ma non a costo zero. Nessuno chiede di abiurare ma di riconoscere gli errori strategici commessi, se si vorrà contare nella politica italiana del prossimo futuro. Perché ci sarà un mondo diverso con cui fare i conti, determinato proprio dalla scelta di guerra di Vladimir Putin. Il capo del Cremlino ha commesso diversi errori, il più grave di tutti – al netto delle responsabilità per gli immani lutti causati all’Ucraina, di cui dovrà rispondere in sede storica e internazionale – è stato l’aver spinto l’Occidente a rispondere con una fermezza ammirevole, che il dittatore russo non aveva evidentemente messo in conto. Almeno, non in questa misura. Sono fatti, davanti ai quali non sono sufficienti il silenzio imbarazzato, una frettolosa operazione di maquillage o contare sulla memoria corta delle masse social. Per l’Italial’Europa non è una scelta, un’opzione da bilanciare con un’altra. È il nostro destino, in un mondo difficile, sottoposto a tensioni inimmaginabili pochi anni fa. Non si tornerà a Yalta, non si tornerà ai blocchi, non ci sarà una guerra mondiale a ridisegnare il globo. Ci saranno equilibri diversi, frutto anche di scelte scellerate. L’Italia non sarà solo Occidente e Nato, sarà sempre più profondamente Unione europea, un’Unione che sta abbandonando progressivamente prudenze e paure, sotto la spinta della duplice emergenza della pandemia e della guerra scatenata da Putin. In casa nostra, in una casa libera e democratica, si potranno continuare a preferire ‘democrature’ e sistemi autoritari, proporli ai cittadini e anche magnificarli – tanti lo hanno fatto con leggerezza negli ultimi anni dieci anni e continuano a propagandarlo senza troppa vergogna su giornali e in tv – ma quello che non si potrà fare è presentarsi, poi, al Paese cercando improbabili verginità e pensando di governarlo senza arrecare danni.   di Fulvio Giuliani

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