Emigrammo anche noi
Anche noi emigrammo. Fummo noi italiani per decenni gli ultimi fra gli ultimi, disprezzati, vessati e uccisi. È questo che la politica oggi dimentica
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Anche noi emigrammo. Fummo noi italiani per decenni gli ultimi fra gli ultimi, disprezzati, vessati e uccisi. È questo che la politica oggi dimentica
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Anche noi emigrammo. Fummo noi italiani per decenni gli ultimi fra gli ultimi, disprezzati, vessati e uccisi. È questo che la politica oggi dimentica
Anche noi, signor ministro Piantedosi, affrontammo l’ignoto, il concreto rischio di perdere la vita nostra e dei nostri figli pur di inseguire il miraggio di una vita degna di essere vissuta.
Hanno colpito e, diciamolo, fatto male le parole del titolare del Viminale non tanto perché ideali a rinfocolare l’ennesima polemica sempre uguale sulla tragedia epocale dei migranti, ma perché indifferenti alla Storia. La nostra. I soccorritori che si sono lanciati nel mare in tempesta davanti Cutro, in Calabria, hanno cercato di salvare quante più vite possibile e certo non avevano tempo per pensare a quanto ci fosse di “vicino” e riconoscibile in quel dramma. Quanto per decenni fummo noi italiani nel ruolo di ultimi fra gli ultimi, disprezzati, vessati, uccisi, morti nell’indifferenza di mondi che non li volevano. Ignorati, profughi.
Nessuno sano di mente o almeno libero dai condizionamenti di qualsiasi ideologia estremista può pensare a un’accoglienza indiscriminata e generalizzata. Ancor meno, come abbiamo scritto ormai fino a venirci a noia, non esiste possibilità di governare il fenomeno per ciascun singolo Stato. Eppure, anche i generici appelli “all’Europa” ci procurano l’orticaria perché spesso sono solo strumentali a una modesta polemica, utile a far passare surrettiziamente il concetto che gli unici responsabili di questa mattanza lungo le rotte delle migrazioni siedano a Bruxelles. A casa nostra si sarebbe al più vittime dell’ignavia delle istituzioni comunitarie e degli spietati trafficanti di merce umana lungo le vie dei Balcani, della Turchia e del Nord Africa. Un’autoassoluzione che mostra l’inadeguatezza di un certo modo di fare politica, quando si riduce a propaganda. Da una parte e dall’altra, sia chiaro. Una realtà inscalfibile con qualche decreto o dichiarazione a effetto, buoni giusto a placare gli ultras del proprio schieramento.
Un Paese immemore è un Paese destinato a replicare gli errori, mancare gli appuntamenti con la Storia, rispondendo di volta in volta alla pancia e alle parole d’ordine di chi abbia vinto le elezioni. Ecco perché ricordare la storia dell’emigrazione italiana è fondamentale per affrontare il presente. Ricordare Ellis Island e il gigantesco fenomeno migratorio verso gli Stati Uniti, certo, ma non fermarsi a questo. Ricordare che anche noi fummo in decine di migliaia di casi immigrati clandestini: verso la Svizzera, la Francia e poi più a Nord per approdare in Germania o nelle miniere del Belgio. Clandestini e vittime di quelli che oggi chiamiamo, sorseggiando un aperitivo o nei talkshow della tv, i “viaggi della speranza”. Quelli che facevamo noi fuori da ogni regola, senza alcun piano che andasse oltre l’urgenza di sottrarsi a un futuro di miseria e sottosviluppo e garantire ai propri figli un futuro decente.
L’abbiamo fatto noi, siamo stati noi e oggi proprio per questo appare insostenibile quel dito puntato contro i genitori che avrebbero messo a repentaglio la vita delle proprie creature, affidandosi a scafisti senza scrupoli. Quando attraversavamo le Alpi a piedi ci affidavamo ai passeur e la dolcezza del francese non cambia la realtà delle cose: erano solo la versione del tempo degli scafisti di oggi. La tragedia descritta nel film “Il Cammino della Speranza” di Pietro Germi, di cui vedete la locandina. Significativamente del 1950.
Quando ci affidavamo ai capibastone che gestivano gli immigrati – carne fresca e forza lavoro a buonissimo mercato – appena sbarcati negli Usa, in Brasile, Argentina e Australia non finivamo nelle mani delle dame della carità, ma spesso dei peggiori fra i nostri connazionali andati in giro per il mondo. Quando gli ebrei italiani fuggirono, inseguiti dall’obbrobrio senza tempo delle leggi razziali fasciste, quelli erano profughi resi tali dai loro connazionali. Come profughi erano le vittime della tragedia di Cutro, fuggiti dall’Afghanistan, dalla Siria, dalle guerre, dai peggiori regimi sulla faccia della terra. Parliamo con rispetto di quei genitori, perché erano i nostri nonni.
di Fulvio Giuliani
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