Elezioni in Italia. Nell’urna
L’endorsement politico è una grande tradizione di civiltà anglosassone. In Italia rinunciamo anche all’idea di un qualsiasi endorsement e preferiamo fare quello che abbiamo sempre fatto: provare a ragionare su realtà, problemi e possibili soluzioni
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Elezioni in Italia. Nell’urna
L’endorsement politico è una grande tradizione di civiltà anglosassone. In Italia rinunciamo anche all’idea di un qualsiasi endorsement e preferiamo fare quello che abbiamo sempre fatto: provare a ragionare su realtà, problemi e possibili soluzioni
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Elezioni in Italia. Nell’urna
L’endorsement politico è una grande tradizione di civiltà anglosassone. In Italia rinunciamo anche all’idea di un qualsiasi endorsement e preferiamo fare quello che abbiamo sempre fatto: provare a ragionare su realtà, problemi e possibili soluzioni
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L’endorsement politico è una grande tradizione di civiltà anglosassone. In Italia rinunciamo anche all’idea di un qualsiasi endorsement e preferiamo fare quello che abbiamo sempre fatto: provare a ragionare su realtà, problemi e possibili soluzioni
L’endorsement politico è una grande tradizione di civiltà anglosassone. Il quotidiano, la televisione, il mezzo di informazione in senso lato esprimono con chiarezza al pubblico le proprie preferenze politiche, indicando i punti di forza e di debolezza della scelta. Una chiarezza di posizione e idee che in Italia possiamo solo invidiare, schiavi dei sospetti incrociati. In un contesto del genere, rinunciamo anche all’idea di un qualsiasi endorsement e preferiamo fare quello che abbiamo sempre fatto: provare a ragionare su realtà, problemi e possibili soluzioni.
A due giorni dal voto conviene procedere per punti.
1) Politica estera: il Vladimir Putin modello Stranamore dell’ultima settimana ha paradossalmente risolto un grosso problema al centrodestra, escludendo alla radice la possibilità di poter tornare a trattare con il dittatore del Cremlino. L’atlantismo dichiarato di Fratelli d’Italia finisce per essere puntellato dall’inevitabile presa di distanza anche dello storico ammiratore di Putin nella coalizione, Matteo Salvini. Nessuna sorpresa dagli altri campi, così come non è pensabile che qualcuno voglia strappare l’Italia al fronte euroatlantico. La strada è questa e resterà questa.
2) Rapporti con l’Unione europea: qui l’affare si complica e di molto a destra, non tanto per le battute di Giorgia Meloni sulla “pacchia” o l’onirico referendum di Salvini sull’auto elettrica, ma perché è oggettivo quel grumo anti Unione che alimenta una parte dell’elettorato sovranista e populista, che oggi rappresenta ben oltre i due terzi della platea teorica di centrodestra. Sul punto il terzo polo ha ottime ragioni per reclamare quasi un’unicità. Indiscutibile rispetto a Meloni e Salvini, al punto che lo stesso Silvio Berlusconi negli ultimi giorni ha calcato la mano sul proprio europeismo, prendendo progressivamente le distanze dagli alleati. Lo stesso Partito democratico ha imbarcato formazioni fumose sul punto e – per quanto si affanni a ricordare che saranno al più dei cespugli – offre il fianco alle critiche.
3) Politica economica: a ben vedere, differenze gigantesche non ce ne sono fra le coalizioni, ognuna più o meno finta, ma questo non è certo un tema che riguardi i soli aspetti economici. Le sirene dell’assistenzialismo e della spesa pubblica cantano per tutti. Cartina di tornasole resta il reddito di cittadinanza, che ormai hanno riscoperto in massa nonostante i guasti palesi che ha provocato. Non è una questione banalmente economica, che pure ha il suo peso: a lasciare attoniti è la semina acida sul terreno della formazione e del lavoro come strada di realizzazione personale e ultimo ascensore sociale rimasto, ora che abbiamo picconato una scuola e un’università realmente selettive. Persino Giorgia Meloni è passata da utilizzare il verbo “cancellare” a “riformare” il reddito. Restano fieramente contrari solo Matteo Renzi, Carlo Calenda e il loro terzo polo. Una campana a morto per chi vede nell’assistenzialismo e nel paternalismo un albero dai frutti corrosivi per tutto il Paese, ma deleterio al Sud.
4) Scuola e lavoro: come appena accennato, i grandi assenti di questa campagna elettorale. Un assurdo, considerati gli interessi e le esigenze dell’Italia. Dovremmo investire buona parte delle nostre risorse nella formazione e nel rivoltare come un calzino il mercato del lavoro e l’approccio psicologico allo stesso. Abbiamo collezionato una serie di promesse farlocche e inascoltabili, tutte riconducibili al suddetto schema assistenziale. Scuola e lavoro non pervenute suonano come una condanna del livello della campagna elettorale.
Non vi diremo, infine, per chi dovreste votare ma per cosa, secondo “La Ragione”: un’Italia atlantista, rispettosa della sua storia repubblicana e della sua collocazione a Occidente, europeista, moderna. Fondata secondo dettato costituzionale sul lavoro, figlio di una formazione, di una scuola e di un’università al passo con i tempi. Sempre attenta ai deboli, ma non assistenziale. Casa di chi voglia rispettare un’impareggiabile storia di bellezza, inventiva e capacità imprenditoriale, non di furbacchioni nullafacenti.
Di Fulvio Giuliani
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