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Cittadinanza minori stranieri in Italia

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La cittadinanza non è un regalo, ma neanche un’imposizione. Da noi c’è l’obbligo scolastico e rendere un minore cittadino è giusto, ma non si può correre il rischio che resti senza genitori

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La cittadinanza non è un regalo, ma neanche un’imposizione. Da noi c’è l’obbligo scolastico e rendere un minore cittadino è giusto, ma non si può correre il rischio che resti senza genitori

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La cittadinanza non è un regalo, ma neanche un’imposizione. Da noi c’è l’obbligo scolastico e rendere un minore cittadino è giusto, ma non si può correre il rischio che resti senza genitori

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La cittadinanza non è un regalo, ma neanche un’imposizione. Da noi c’è l’obbligo scolastico e rendere un minore cittadino è giusto, ma non si può correre il rischio che resti senza genitori

I bambini hanno soltanto diritti e nessun dovere. Li si educa a rispettare l’autorità – mamma e papà, poi gli insegnanti – e a ubbidire per istruirli verso la maggiore età, quando non esistono diritti che non si accompagnino a doveri. I bambini che si trovano in Italia come nel resto dell’Unione europea restano titolari di soli diritti: non ha alcuna importanza quale sia la loro origine o come ci siano arrivati. Il tema della loro cittadinanza è assai serio e non può essere separato dalla sorte dei loro genitori.

Non è un tema nuovo e l’Italia non è certo cambiata negli ultimi mesi e neanche negli ultimi anni, quindi bando alle ipocrisie e chiediamoci perché se ne parli concitatamente adesso. Accade perché anche su questo la maggioranza di governo è divisa e chi è in minoranza ha deciso di non subire oltre. Che il tema non sia parte del programma di governo è vero ma irrilevante, essendo materia parlamentare. La novità è che si passa dal proibire ai parlamentari di maggioranza di presentare emendamenti al prendere atto che un pezzo della maggioranza converge con un pezzo dell’opposizione. È possibile che questo accada per ragioni di coscienza, ma è più facile che risponda piuttosto a ragioni politiche. Quando Tajani ricorda che la maggioranza si è divisa sul voto alla presidente della Commissione europea (e sul Mes) aggiunge che il governo non è per quello caduto. Ma non è mica normale che nel governo italiano sia in minoranza la sola componente che è in maggioranza al Parlamento europeo e che si è vista smentita dall’astensione del governo italiano. Quella sì che sarebbe ragione di crisi. Invece ha soltanto innescato uno smottamento, che si vede su un altro terreno. Se ricompongono non ci sarà una nuova legge sulla cittadinanza; se non ricompongono forse si fa la legge, ma si consuma il governo. Torniamo alla cittadinanza.

Sono un cittadino europeo – c’è scritto sul mio passaporto – e lo sono (felicemente) diventato perché cittadino italiano. Come tutti gli altri cittadini Ue e anche chi la cittadinanza l’acquisisce. Sicché sarebbe bene avere una regola comune europea, resa possibile dalla compatibilità di gran parte delle regole nazionali. In Italia siamo rimasti indietro, ancora legati al diritto di sangue (la discendenza), che non è più o meno generoso (visto che siamo quelli che hanno, da ultimo, naturalizzato più ex stranieri) ma è disfunzionale: considero cittadini italiani quanti neanche parlano la lingua e pagano le tasse, ma lo nego a chi va a scuola o lavora in Italia.

La cittadinanza non è un regalo, ma neanche può essere un’imposizione. Oggi uno straniero italianissimo diventa cittadino chiedendolo a 18 anni, e ci si perde tempo, ma il principio della scelta non è sbagliato, magari convertito in possibile rifiuto. Da noi c’è l’obbligo scolastico, quindi un bambino che entra alle elementari ci resta fino alle medie superiori. Renderlo per questo cittadino è giusto, ma non posso correre il rischio che un minore italiano resti senza genitori perché li ho buttati fuori in quanto senza più permesso o perché poveri (è un criterio previsto dalle regole in vigore): chi iscrive un figlio a scuola deve quindi avere un permesso permanente, lungo almeno quanto quella frequenza.

Essendo tutti uguali – nel bene e nel male – anche gli immigrati litigano e si contendono i bambini. Nel nostro ordinamento il giudice privilegia l’interesse del minore. Occorre anche prevedere il caso che il minore italiano sia soggetto alla potestà di un genitore straniero che intende portarlo via.

Minuzie? Avrò l’impressione che si stia parlando seriamente quando si discuterà di queste, con pochi margini per sparate ideologiche o di ridicolissima identità somatica. Finché si andrà avanti con latinorum poco compresi da quelli stessi che li usano – magari aggiungendoci “temperato”, per lasciarsi aperta la via a tutto e al suo contrario – vorrà dire che si sta giocando una partita di schieramento. Infantile e sull’infanzia.

Di Davide Giacalone

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