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Elezioni regionali Abruzzo e Sardegna

Fare politica è diventato un gioco d’azzardo

In Sardegna la destra ha preso più voti della sinistra, la stessa cosa è successa in Abruzzo. Più che cambiare il vento è cambiato il modo in cui si contano i voti

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Fare politica è diventato un gioco d’azzardo

In Sardegna la destra ha preso più voti della sinistra, la stessa cosa è successa in Abruzzo. Più che cambiare il vento è cambiato il modo in cui si contano i voti

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Fare politica è diventato un gioco d’azzardo

In Sardegna la destra ha preso più voti della sinistra, la stessa cosa è successa in Abruzzo. Più che cambiare il vento è cambiato il modo in cui si contano i voti

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In Sardegna la destra ha preso più voti della sinistra, la stessa cosa è successa in Abruzzo. Più che cambiare il vento è cambiato il modo in cui si contano i voti

Vento che cambia, campo che s’allarga, sfida decisiva. Tutta roba che non ha smosso la metà degli aventi diritto al voto. In quanto al ribaltamento del risultato sardo, faccio osservare che quello abruzzese è uguale. Ed è questa la cosa d’interesse, prima d’azzardare bizzarrie. In Sardegna la destra ha preso più voti della sinistra. Qualcuno se ne è dimenticato o neanche accorto, ma è così. La stessa cosa è successa in Abruzzo. In Sardegna il candidato della destra ha preso meno voti di quelli della coalizione e quello di sinistra ne ha presi di più. La stessa cosa è successa in Abruzzo: 54,67% la destra e 53,50% Marsilio; 327.660 voti la destra e 316.637 voti Marsilio; 45,33% la sinistra e 46,50% D’Amico; 262.565 voti la sinistra e 284.748 D’Amico. E allora? Più che cambiare il vento è cambiato il modo in cui si contano i voti, la legge elettorale: in Sardegna un elettore può scegliere il presidente anche se non candidato dal partito che intende votare, in Abruzzo no. Si chiama “voto disgiunto” e non riuscirò mai a convincermi che abbia quale che sia senso che si voti in modo diverso regione per regione. Tanto più che poi si commentano i risultati senza tenere conto delle differenze. In questo caso delle uguaglianze che generano conseguenze diverse.

So che queste cose sono di una noia mortale, ma neanche si può lasciare che si dica, in materia, qualsiasi sconclusionatezza. Infine, l’ultimo elemento di uguaglianza fra Sardegna e Abruzzo, omogeneo ai risultati nazionali: votando la metà delle persone il meccanismo elettorale assegna la vittoria a chi prende un quarto – il 25% – dei voti potenziali. Tutto legittimo, ma assai poco salutare. Ora che succede? Niente. Si continua a fare campagna elettorale, in coerenza con organizzazioni politiche che sono sempre meno partiti e sempre più comitati elettorali. E siccome la gara sarà soltanto quella alla conquista del consenso, tutto il resto passerà in cavalleria, compreso il fatto che si coalizzano componenti che sarebbero altrimenti incompatibili fra loro. Il problema non è la destra o la sinistra, ma loro assieme. Sento ripetere a pappagallo la tesi secondo cui quella di destra sarebbe una coalizione con una storia, perché trentennale. Sul serio? Nacque nel 1994, a opera di Silvio Berlusconi. Ed era composta da soggetti così incompatibili che fecero un’alleanza fra due diverse alleanze. Quella di sinistra nacque (e vinse) nel 1996, appena due anni dopo, a opera di Romano Prodi e a imitazione del prodotto berlusconiano. Da allora hanno vinto a turno, fino a quando, nella scorsa legislatura, hanno perso assieme. Una ha 30 anni, l’altra 28. Sono invecchiate in fretta perché utili soltanto a vincere e non a governare. Nel frattempo si sono ribaltati i rapporti al loro interno: a destra era prima prevalente il centro, mentre ora è la destra; a sinistra era prima prevalente quella democristiana e ora siamo al massimalismo in gara con il grillismo non più frinente. Vincono o si candidano a vincere avendo linee di politica estera incompatibili fra loro, dall’una e dall’altra parte. In politica economica non è che non abbiano le stesse posizioni, non hanno manco gli stessi numeri su cui ragionare. E tutto questo lo si compensa grazie a un vizio, che rivergina le virtù: il trasformismo.

La cosa singolare è che tale mentalità s’è così radicata che anche le forze di minoranza, quelle che avrebbero tutto l’interesse a indicare l’evidenza dell’inganno, s’interrogano su con chi allearsi per vincere. Perché la politica questo è diventata: la gara a vincere. Poi si vede. O, meglio, non si vede nulla: sanità, trasporti, infrastrutture, scuole… fesso chi ci crede.

Le Mary Poppins della sinistra se ne stavano lì, con i piedi divaricati e l’ombrello, a dire: «Il vento sta cambiando». Rivedano il film, perché era il momento della dipartita. Gli Achab della destra risentono ancora il vento nelle vele, accoltellandosi per il timone. Compulsino il capolavoro di Melville. A me, ripassato Dante, pare una morta gora.

Di Davide Giacalone

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