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fascismo

La caduta del fascismo e la fine di Mussolini

Il 25 luglio di 80 anni fa segnò la caduta del fascismo, in un clima su Roma e l’Italia rovente

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La caduta del fascismo e la fine di Mussolini

Il 25 luglio di 80 anni fa segnò la caduta del fascismo, in un clima su Roma e l’Italia rovente

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La caduta del fascismo e la fine di Mussolini

Il 25 luglio di 80 anni fa segnò la caduta del fascismo, in un clima su Roma e l’Italia rovente

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Il 25 luglio di 80 anni fa segnò la caduta del fascismo, in un clima su Roma e l’Italia rovente

Lo scirocco che arriva dall’Africa è insopportabile. Roma soffre. Uno scroscio d’acqua peggiora la situazione. L’umidità fa percepire calori superiori ai 32 gradi registrati: «quisquilie» direbbe Totò, rispetto a quelli di questi giorni. Sabato 24 luglio 1943 è questo il clima meteorologico che respira la Città eterna. Soffocante. Come quello politico. Caput mundi ha visto passare re e imperatori; ora sta per assistere al tramonto di un duce. Alle cinque del pomeriggio, nel corso della 18° seduta del Gran Consiglio del Fascismo che si tiene nella Sala del Pappagallo di Palazzo Venezia, viene presentato l’ordine del giorno di Dino Grandi che la mattina dopo sfiducerà Mussolini. Le strade sono quasi deserte. Dopo il bombardamento del 19 luglio la nettezza urbana non funziona ancora, aumentando il disagio dei romani, che pare abbiano un conto aperto con l’immondizia e forse con le tante immondizie che produce quel potere che lì, su quei colli indolenti, monta e smonta il suo tendone. Niente latte, la Centrale è ferma. E niente telefono. «Roma è impallidita. Anche le città hanno un volto» scrive Mussolini. Dell’importante seduta i romani non sanno niente. Sui giornali nemmeno un rigo. E se anche avessero saputo se ne sarebbero fregati, coerentemente col motto del duce: «Me ne frego». Pare fregarsene perfino Galeazzo Ciano, che pure fa parte della seduta. Dopo la poco apprezzata esperienza come ministro degli Esteri, è ora ambasciatore al Vaticano. Voterà contro suo suocero. Morirà per questo, come quasi tutti gli altri ‘traditori’. Il conte è capace di spendere in una serata la paga di un anno di un manovale, per non dire delle sfortune della moglie Edda, indomita giocatrice di poker. ‘Sfortune’ omologhe a quelle di Arturo Osio, amministratore della Banca del Lavoro, del gioielliere Costantino Bulgari, del palazzinaro Salvatore Scalera, del direttore della Cinematografia Littoria Luigi Freddi: personaggi che non trovavano più ospitalità nei circoli che contano, come quello della Caccia, degli Scacchi o di Villa Medici del Vascello, dove il padrone di casa Gigi Medici – indebitato fino alle mutande – è impegnato a dissipare le ultime sostanze di famiglia pur di continuare a far parte del giro che conta. Noblesse oblige. In quel luglio caldo e strafottente c’è però sempre spazio per i pettegolezzi, come quelli sugli ultimi flirt di Ciano o di Edda. «Pare che la figlia del duce sia rimasta chiusa per giorni in una camera dell’Excelsior di Venezia con un giovane patrizio». Malelingue. L’aristocrazia romana è divisa. C’è chi è salito sul carro del regime e chi ha schifato «quegli straccioni di fascisti», come li chiamerà con un’iperbole tardiva Vittorio Emanuele nel suo ultimo colloquio con Mussolini. Quello che terminerà con l’arresto del duce. Straccioni che però tali non erano quando – 21 anni prima – quello stesso re aveva consegnato le chiavi dell’Italia a un maestro elementare di Predappio. di Pino Casamassima   

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