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Femministe contro Giorgia Meloni

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Molte femministe hanno voluto precisare che la (molto probabile) salita al governo di Giorgia Meloni non basterebbe a cancellare quanto di ostile la leader di FI racchiude nei confronti del genere femminile. Ma è davvero così?
femministe contro Giorgia meloni

Femministe contro Giorgia Meloni

Molte femministe hanno voluto precisare che la (molto probabile) salita al governo di Giorgia Meloni non basterebbe a cancellare quanto di ostile la leader di FI racchiude nei confronti del genere femminile. Ma è davvero così?
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Femministe contro Giorgia Meloni

Molte femministe hanno voluto precisare che la (molto probabile) salita al governo di Giorgia Meloni non basterebbe a cancellare quanto di ostile la leader di FI racchiude nei confronti del genere femminile. Ma è davvero così?
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Nelle ultime settimane, approssimandosi l’annunciato successo elettorale di Giorgia Meloni, diverse militanti del movimento femminista degli anni Settanta hanno sentito il dovere di precisare che l’eventuale incarico a una donna di formare il governo italiano non avrebbe cancellato quanto di intrinsecamente ostile al genere femminile racchiude l’ideologia di cui questa donna è seguace. È veramente così o si può guardare più in profondità? La Meloni ha scritto un’autobiografia (“Io sono Giorgia”) nella quale racconta la storia personale sua e della sua famiglia: ragionevole agiatezza alla nascita, simbolicamente collocata alla Camilluccia, Roma Nord. Poi il padre abbandona la madre e due bambine piccole (Giorgia e la sorella) per andare alle Canarie. Crescendo, Giorgia non perdona l’abbandono del padre e decide di non andare al funerale di quest’ultimo. Metaforicamente, è una donna che “ha ucciso il padre”, ciò che la teoria freudiana si attende dal figlio maschio. Ci troviamo di fronte quindi a una donna “antiedipica”, che non ha paura del maschio ma che, perciò, i maschi temono. E infatti non è vero che si sia fatta strada in un partito di uomini: il partito lei lo ha fondato, chiamando gli uomini attorno a sé. Il secondo dato biografico (e qui si viene alla questione dell’ideologia) è che la giovane Giorgia vive e adotta le storie di emarginazione dei neofascisti romani (“la voce della fogna”): non ha l’età per aver vissuto l’epopea violenta degli scontri di strada, come Francesca Mambro o Daniela Di Sotto, ma evidentemente ne è affascinata. E qui si potrebbe anche speculare sulla saldatura tra questa mitologia neofascista e la storia personale della bambina abbandonata dal padre: è significativo però il cenno che la Meloni fa del suo mentore Gianfranco Fini, che accusa di “tradimento”, contrapponendosi con la sua “fedeltà” agli ideali di gioventù. Dall’altra parte (in tutti i sensi) sta una donna come Bianca Berlinguer (certo una donna di successo nel suo campo), quando ricorda il padre Enrico: non solo politico specchiato, ma marito devoto e padre affettuoso. Una vestale che tiene accesa la fiamma della Tradizione, dove i Padri sono venerati per dare senso al presente attraverso il passato. Tornando a Giorgia, è proprio il famoso comizio di Vox che ne rivela la personalità: è una donna che è diventata madre di una figlia (evocando una simbologia matriarcale) ed è potente di fronte ai maschi. Senonché il matriarcato può senz’altro proteggere la famiglia, ma non regge gli altri due termini della triade della destra. E infatti, un osservatore intelligente come Giovanni Orsina nota che la forza protettiva della Meloni risiede più nelle parole di “Patria” e di “Nazione” che non in quelle di “Dio” e “Famiglia”. Ma è proprio su Patria e Nazione che la Meloni risulta meno convincente, mostrando il lato debole di una costruzione effettivamente unica nel panorama dei politici europei, anche rispetto alle altre donne (non italiane) salite al potere. Di Angelo Pappadà

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