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guerra in corso

Guerre in corso

Nell’anno che sta per finire, l’Europa è tornata a conoscere la guerra di invasione per mano della Russia. La Cina, intanto, continua a tenere alta la tensione su Taiwan
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Nell’anno che sta per finire, l’Europa è tornata a conoscere la guerra di invasione per mano della Russia. La Cina, intanto, continua a tenere alta la tensione su Taiwan
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Nell’anno che sta per finire, l’Europa è tornata a conoscere la guerra di invasione per mano della Russia. La Cina, intanto, continua a tenere alta la tensione su Taiwan
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Nell’anno che sta per finire, l’Europa è tornata a conoscere la guerra di invasione per mano della Russia. La Cina, intanto, continua a tenere alta la tensione su Taiwan
Natale 2022, alla messa di mezzanotte in San Pietro e all’Angelus del 25 neppure papa Francesco ha avuto la forza di far finta con il mondo. Parlando della guerra che imperversa in Ucraina, ha dovuto ammettere di averci provato in tutti i modi. E di aver fallito. Di parlare di pace invano, di lanciare appelli a vuoto. Un’ammissione di impotenza, nei giorni del Natale, che è forse lo specchio più fedele di una guerra. Sia chiaro, il punto non è sperare o credere che il papa possa riuscire lì dove le diplomazie hanno fallito, ma interrogarsi sul mondo che va a chiudere questo sanguinoso e violento 2022. Un mondo che è tornato a conoscere, per l’ossessiva volontà di un solo uomo e della sua cerchia di potere, la guerra di aggressione in Europa. La prima dopo ottant’anni. Il Continente aveva sperimentato le atrocità della guerra civile jugoslava e – nell’infinita scala degli orrori e dei conflitti – nulla è peggio di una guerra civile. Ma l’aggressione a uno Stato sovrano è storia diversa, lascia ferite e strascichi destinati a durare anni fra tanti Paesi non direttamente coinvolti. Altera gli equilibri geopolitici di un intero Continente e di quelli che un tempo furono i “blocchi”. E chi questo disastro lo ha lucidamente cercato non dà il minimo segno di volerne uscire in un modo che sia un minimo accettabile per l’aggredito. Anche in Occidente, del resto, dobbiamo fare i conti con una robusta corrente di pensiero che vede nell’Ucraina – e non nella Russia – l’ostacolo all’avvio di un serio confronto diplomatico, per arrivare almeno a una tregua. Quella che neppure il giorno di Natale ha avuto la forza di regalare agli stremati civili ucraini. Saranno i 10 mesi di conflitto, l’inevitabile stanchezza e i troppi orrori, ma sarà sempre più difficile – ne siamo consapevoli – mantenere saldo l’ordine delle cose e ricordare banalmente per responsabilità di chi ci troviamo in questa situazione. Tutto ciò non significa concedere all’Ucraina e a Volodomyr Zelensky assegni in bianco, ma saper ricordare torti e ragioni. La sostanziale differenza, il confine invalicabile posto dalle leggi del diritto internazionale ma anche dal buon senso e – perché no – dalla buona volontà. Dall’altra parte del mondo, intanto, la nuova superpotenza cinese ha scelto proprio le ore del Natale (i cinesi ne vanno matti e tutto si può pensare tranne che considerino il 25 dicembre una data come un’altra) per scatenare una minaccia fisica su Taiwan. Una grande esercitazione aerea, con il meglio dell’aeronautica a disposizione di Xi Jinping. Una violazione di massa dello spazio aereo, da sempre considerato da Taipei e da Washington la “zona cuscinetto di sicurezza” in difesa dell’isola. Il dittatore cinese, del resto, sta giocando la sua partita più importante e pericolosa proprio su Taiwan, accettando di correre su un filo sottilissimo con gli Usa. Un gioco potenzialmente mortale, condotto in uno straniante balletto fra folli forzature e ricerche di un nuovo equilibrio diplomatico con Washington su cui basare l’avvenire prossimo venturo del mondo. Il problema è che si parte da una promessa-minaccia di invasione e guerra, la peggiore delle basi possibili su cui costruire un futuro. Un incubo che, se realizzato, farebbe impallidire quello ucraino. È la sostanza della sfida cinese, non solo agli Stati Uniti ma all’intero sistema delle democrazie liberali. A tutti noi.   Di Fulvio Giuliani

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