Giorgia Meloni e i suoi fratelli
Nel giro di dieci anni è passata dalle stalle alle stelle. È la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la sua cangiante coerenza d’opposizione
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Giorgia Meloni e i suoi fratelli
Nel giro di dieci anni è passata dalle stalle alle stelle. È la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la sua cangiante coerenza d’opposizione
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Giorgia Meloni e i suoi fratelli
Nel giro di dieci anni è passata dalle stalle alle stelle. È la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la sua cangiante coerenza d’opposizione
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Nel giro di dieci anni è passata dalle stalle alle stelle. È la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la sua cangiante coerenza d’opposizione
Nel giro di dieci anni Giorgia Meloni e i suoi fratelli passano dalle stalle alle stelle. Alle elezioni del 2013 ottengono meno del 2% ed entrano alla Camera dei deputati grazie a un codicillo della legge elettorale che premia il migliore perdente. Alle elezioni del 2022 diventano il primo partito con il 26% e nei mesi successivi arrivano al 30%. Come si spiega questa irresistibile ascesa? I motivi sono tanti.
Come i tre moschettieri di Dumas, anche la comunità politica di destra potrebbe dire: tutti per una, una per tutti. Fratelli d’Italia non sarà popolata di Cavour ma è un gruppo coeso che viene da lontano, temprato da mille battaglie combattute all’opposizione con coerenza. E occorre onestamente riconoscere che l’opposizione Giorgia Meloni l’ha saputa fare e le ha enormemente giovato. Una delle battute più famose di Woody Allen è questa: «Se io faccio così bene all’amore è perché mi sono esercitato a lungo da solo». Mutatis mutandis, la leader di Fratelli d’Italia potrebbe dire la stessa cosa. Ha fatto bene l’opposizione perché si è esercitata a lungo da sola.
L’opposizione è stata così ben condotta da costituire una rendita. Peraltro declinata al plurale anziché al singolare. Limitiamoci alla passata legislatura. Nel primo governo Conte, Salvini e Di Maio sono pappa e ciccia, mentre Meloni con Forza Italia sta fuori. Perciò la sua opposizione si caratterizza per i suoi «Sì, ma». «Sì» per non distanziarsi troppo da Salvini, allora grande e grosso. «Ma» per sottolineare la differenza con il leader della Lega e per metterlo in difficoltà davanti al tribunale dell’opinione pubblica.
Con il Conte 2 si registra un camaleontico ribaltamento delle alleanze. Dentro Cinque stelle e Pd, fuori i tre partiti di centrodestra. Ecco che il «Sì, ma» di Meloni si trasforma in un «No e poi no» che non potrebbe essere più netto. Nel governo di unità nazionale presieduto da Draghi, un gabinetto palatino uscito dal cilindro di Sergio Mattarella, tutti i partiti stanno dentro fuorché quello della Meloni, che se ne sta solitaria all’opposizione. Ma la sua è un’opposizione distinta e distante dalle due precedenti. Difatti fin dai tempi dell’incarico a Mario Draghi il presidente incaricato non fa mistero di nutrire prima curiosità nei confronti di una Meloni che gli consiglia di non concedere troppo ai suoi alleati perché poi se ne approfitteranno e poi una spiccata simpatia che rimane anche dopo la formazione del governo in carica. Tant’è che quella di Meloni assomiglia un po’ all’opposizione di Sua Maestà britannica. Ed è notorio che Oltremanica il premier ha più confidenza con il leader dell’opposizione che con la propria moglie.
Ora che si è insediata a Palazzo Chigi – più come padrona che come inquilina, a detta di Lucia Annunziata e di Giuliano Amato – Meloni ha dovuto coniugare l’antica coerenza con un giudizioso pragmatismo. Difatti un conto è guardare le cose dai banchi dei deputati, ben altro guardarle dal banco del governo. Cambia la prospettiva, anche a costo di dispiacere ai suoi sostenitori. Nella piena consapevolezza di quanto avesse torto Giulio Andreotti quando sosteneva che il potere logora chi non ce l’ha.
Di questo e di molto altro ancora parla un libro fresco di stampa scritto a quattro mani da Salvatore Vassallo e Rinaldo Vignati, dedicato a “Fratelli di Giorgia” ed edito da Il Mulino. Un saggio assai ben condotto che sottolinea la fortuna e la virtù di una leader di partito. Si dice che sia una spugna, una secchiona, sempre china sui dossier. Una leader che si consulta di continuo con gli esperti e con i suoi consiglieri ma poi decide in solitudine. Tra i tanti segreti del suo successo, c’è anche questo. E non è poco.
di Paolo Armaroli
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