
Giorgia Meloni e il Consiglio europeo, in due giorni
Ai lavori del Consiglio europeo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è arrivata sull’onda voluta e inevitabile delle dure parole, l’abbiamo definita la “faccia feroce”
| Politica
Giorgia Meloni e il Consiglio europeo, in due giorni
Ai lavori del Consiglio europeo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è arrivata sull’onda voluta e inevitabile delle dure parole, l’abbiamo definita la “faccia feroce”
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Giorgia Meloni e il Consiglio europeo, in due giorni
Ai lavori del Consiglio europeo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è arrivata sull’onda voluta e inevitabile delle dure parole, l’abbiamo definita la “faccia feroce”
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Ai lavori del Consiglio europeo, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è arrivata sull’onda voluta e inevitabile delle dure parole, l’abbiamo definita la “faccia feroce”
Il Mes non è in agenda, nemmeno in forma esplicita la politica monetaria imposta dalla Banca centrale europea e la sua strategia di lotta all’inflazione (si parlerà in linea molto più generale di “economia”), ma ai lavori del Consiglio europeo – cominciato ieri a Bruxelles e in programma sino al primo pomeriggio di oggi – la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è arrivata sull’onda voluta e inevitabile delle dure parole (l’abbiamo definita la “faccia feroce”) scelte per l’informativa di 48 ore fa in Parlamento, proprio in vista dell’importante vertice.
È improbabile che i partner europei facciano in qualche misura il suo gioco, cercando chiarimenti o altro sui punti più delicati sollevati dal capo del governo italiano. Quanto detto è agli atti, è stato ovviamente registrato ed è parte di una strategia voluta dalla leader di Fratelli d’Italia in vista dei cruciali mesi che ci attendono.
Uno snodo pericoloso, comunque lo si guardi: una sfida aperta alla Commissione europea e agli altri leader sul Mes e alla Bce sul rialzo dei tassi di interesse oppure – come molto più probabile e credibile – una mossa per farsi protagonista della complicata trattativa in Europa per far pesare maggiormente l’Italia. Le parole di Giorgia Meloni in Parlamento equivalgono a uno studiato azzardo.
Il Meccanismo europeo di stabilità è ormai una specie di punto d’onore, la cartina di tornasole dei residui di antieuropeismo e sovranismo. Tant’è vero che da quando è a Palazzo Chigi la stessa Giorgia Meloni non ha mai – dicasi mai – detto che l’Italia non avrebbe mai ratificato il Mes. Ne ha sempre semanticamente fatto una questione di “quando” e “come”, riservando il concetto di “mai” al ricorso ai prestiti del Meccanismo europeo di stabilità.
Del resto, il capo del governo è perfettamente conscio della strada strettissima che si spianerà davanti al nostro Paese nei prossimi mesi: verrà discusso il nuovo Patto di stabilità e lì la partita si farà molto delicata. Come abbiamo spesso ricordato, ben più delicata che sul tutto sommato trascurabile tema del Mes. Un’Italia isolata e arroccata sulle proprie posizioni rischia di pesare ben poco nella trattativa che avrà un’influenza profonda nella governance (prendiamo in prestito l’espressione utilizzata dalla stessa Giorgia Meloni in Parlamento) dell’Unione che verrà.
Non è necessario un genio strategico per intuire il tentativo di utilizzare il Mes come merce di scambio; è altrettanto solare che il gioco prevede un equilibrio delicato ed estremamente instabile. Per esser chiari, il rischio è quello di restare con il cerino in mano. Ricordiamolo, il nostro No al Mes non evita tanto il temuto ricorso ai prestiti da tempo concordati (per i quali non è previsto alcun automatismo) ma impedisce agli altri 26 Stati dell’Unione di potervi eventualmente far ricorso.
Ci auguriamo non debba mai accadere, ma è oggettivo che l’Italia si espone ad accuse, rivendicazioni e ripicche di ogni genere. La “faccia feroce” della presidente del Consiglio va sempre letta in controluce, partendo dagli equilibri interni alla maggioranza e dall’azzardo-scommessa con la Commissione Ue. Giorgia Meloni non attacca per rompere, ma per sedersi e trattare. Purché trovi qualcuno al tavolo.
di Fulvio Giuliani
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