Giuseppe Conte. Fenomeno camaleontico
| Politica
“Giuseppi” non è un politico ma un attore di vaglia che interpreta dei personaggi-tipo, impegnati in politica
Giuseppe Conte. Fenomeno camaleontico
“Giuseppi” non è un politico ma un attore di vaglia che interpreta dei personaggi-tipo, impegnati in politica
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Giuseppe Conte. Fenomeno camaleontico
“Giuseppi” non è un politico ma un attore di vaglia che interpreta dei personaggi-tipo, impegnati in politica
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Come si spiega il fenomeno Conte? In generale, i politologi e i commentatori ricorrono agli antichi canoni della politica italiana: in particolare il trasformismo, che poi è strettamente collegato all’opportunismo di coloro che sanno individuare, in ogni occasione, quale sia la posizione più conveniente da occupare.
Sono tutte analisi sbagliate, perché “Giuseppi” non è un politico ma un attore di vaglia che interpreta dei personaggi-tipo, impegnati in politica. Quelle che sembrano mosse spregiudicate e anche un po’ scorrette nell’agone politico, in realtà sono copioni differenti che l’attore Conte è chiamato a interpretare. Sappiamo benissimo che nel mondo dello spettacolo ci sono attori che sembrano specializzati in alcuni ruoli quali il presidente degli Stati Uniti, il principe consorte, l’ammiraglio, il capo o l’agente della Cia o chiunque altro personifichi un leader. Il fatto che sia o meno un eroe positivo non dipende dall’interprete ma dal soggetto e dalla sceneggiatura.
Capita che le persone abbiano dei talenti nascosti che emergono dagli hobby a cui dedicano parte del loro tempo, soprattutto se sono avvocati. Un altro Conte, Paolo, compone canzoni di successo; il nostro, Giuseppe, fin da ragazzo era iscritto alla filodrammatica del suo paesello e recitava da dilettante nel teatro shakespeariano dove eccelleva nel personaggio di Riccardo III. Al momento della battuta «Il mio regno per un cavallo» il pubblico applaudiva per diversi minuti.
Quando la terribile coppia Salvini-Di Maio era alla ricerca di un “uomo dello schermo” che tenesse loro occupato il posto a Palazzo Chigi, Alfonso Bonafede si ricordò di aver visto Conte recitare, nella filodrammatica, in un’operetta della Belle époque in cui faceva – con eleganza e stile – la parte di un granduca. L’avvocato esordì così a livello nazionale in un ruolo quasi da comparsa, come presidente del Consiglio “per caso” a fianco dei due protagonisti. Strada facendo però “Giuseppi” ci ha preso gusto e ha iniziato la scalata al successo, anche a livello internazionale. Ha iniziato a scegliersi le parti da protagonista, emarginando gli altri attori in ruoli secondari, fino a estrometterli dalla troupe. Poi ha cominciato a scrivere in proprio i soggetti. Il vero salto di qualità lo ha compiuto quando, tra mille difficoltà, è riuscito a scalzare Beppe Grillo dal ruolo di regista.
Oggi Giuseppe Conte è il patron di una promettente casa cinematografica (la “New Five Stars Pictures”) che ha lanciato un’Opa ostile per scalare la concorrenza (la “Dem Company”), offrendo agli azionisti cinque euro per ogni titolo ceduto anche se il loro valore è ormai vicino allo zero. Dei suoi film Conte è diventato produttore, regista e protagonista. Ma ultimamente è tornato alla sua antica passione: il teatro. La sua ultima pièce s’intitola “Reddito amaro”: una sorta di monologo pronunciato in qualità di difensore di una comunità di poveri a cui viene tolto il pane di bocca. L’autore/attore protagonista si esibisce nelle periferie urbane indossando la calzamaglia di rito.
Di Giuliano Cazzola
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