Accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e associazione a delinquere, sospeso prima e destituito poi, processato per sette anni e infine assolto. Il calvario giudiziario dell’ambasciatore Michael Giffoni indigna ma di sicuro non sorprende.
Quanti altri hanno dovuto subire i costi di un’inchiesta sbagliata? Tanti, troppi. Ce lo ricordano le storie atroci raccontate in prima persona nella nostra rubrica “Giustiziati”: grani dolorosi di un rosario grottesco, senza fine e senza responsabili. Nel concedere interviste ai giornali – quegli stessi che domani continueranno a privilegiare le veline della Procura e quindi la presunzione di colpevolezza – Giffoni si è guadagnato un risarcimento d’immagine significativo ma irrilevante.
Lo spazio che gli è stato concesso potrà forse avergli restituito un’oncia di serenità ma suona paradossalmente come un privilegio se si pensa a quanti – strappati ai sogni, derubati del proprio lavoro, spogliati della propria onorabilità, sputtanati dal tribunale social, la famiglia in frantumi e i conoscenti che ti indicano a distanza – non hanno avuto e non avranno l’occasione di mostrare l’osceno. Meglio, molto meglio nascondere i giustiziati sotto il tappeto.
La storia di Giffoni sarà inutile se si vorrà rubricarla nella casella degli imprevisti, quale dolorosa eccezione nell’ambito di un sistema giudiziario che prima o poi riesce a fare ammenda dei propri errori. Così non è. Giustizia è sfatta, e se non ce ne accorgiamo è soltanto perché la metastasi giustizialista ha compromesso i nostri riflessi.
L’avviso di garanzia resta sinonimo di colpevolezza, si continua a pretendere che l’accusato dimostri la propria innocenza, i costi di un processo inghiottono patrimoni familiari, la sudicia macchia del sospetto non sparisce mai del tutto. E tutto questo siamo disposti a tollerarlo perché ci illudiamo che non potrà mai riguardarci, che non finiremo spintonati all’improvviso nella colonna dei giustiziandi. Preferiamo chiudere gli occhi, ma così andiamo fatalmente a sbattere contro la peggiore giustizia in Europa.
Quanto a Giffoni, addolora scoprire che il suo procedimento di sospensione venne firmato dal ministro Emma Bonino. Un politico di professione che la lunga frequentazione di Marco Pannella e dei radicali dovrebbe aver vaccinato contro il giustizialismo.
L’amministrazione che dirigeva avrà considerato quella pratica come necessaria per tutelare la propria onorabilità da chi quell’onore aveva di colpo perduto. E nella donna che combatté insieme a Enzo Tortora avranno prevalso i riflessi ministeriali, l’assuefazione alle carte, il procedere burocratico, il “chi se la prende la responsabilità” e il “sarà la giustizia ad accertare”.
di Vittorio Pezzuto
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